Non c’è più lealtà. Nessuno è al suo posto. Dario Fo su “L’Unità” di martedì 29 maggio 2012
Specchio d’Italia in frantumi, così stanno le cose. E ogni frammento riflette ciò che può, nei tempi veloci di un presente che non smette di sorprendere sfiatando vergogne tra le smagliature della cronaca. Ora tocca al calcio mostrare di che pasta sia fatto non tanto lo sport più amato dagli italiani, quanto il quadro di riferimento etico al quale il Paese sembra appeso. Calcio, in Italia, è potere; negli squarci aperti sul mondo del calcio gli italiani possono ora con impietosa chiarezza trovare conferma delle dinamiche di un potere che più in generale amministra bisogni e pulsioni di milioni di cittadini. Non c’è traccia di lealtà nei fatti contestati al calcio e a suoi interpreti, non c’è traccia di generosità, tutto si compra, o quasi, a dispetto di quanti invece non sarebbero disposti a far mercato nero di una prestazione o di un goal. Il Vaticano è potere, più del calcio: decide governi e legislazione civile più di una maggioranza parlamentare. Ma ecco che l’impianto morale evangelico appare azzerato dall’intreccio dei veleni che regolano i piani altissimi della Chiesa, così come mostrano tristemente i carteggi nei cassetti di San Pietro. Slealtà e ingenerosità, anche qui. Calcio e Chiesa. Come se i vescovi si fossero vestiti da calciatori, come se i calciatori si fossero vestiti da vescovi e tutti, appassionatamente, avessero truccato e avvelenato risultati, relazioni, obblighi morali. Nessuno è al suo posto. Certo, la cronaca non rende giustizia al buono che pure c’è, vive, resiste qui e lì, ma i fatti sono devastanti. È un disastro per l’Italia, un doloroso momento di autocoscienza di massa. Ne usciremo i migliori oppure lo choc seppellirà la voglia di partecipazione e di consapevolezza in un deserto di autismo esistenziale? Intanto ripensiamo a quel che è accaduto ad un’altra colonna portante della nostra società, la politica. Conviene chiedersi perché gli italiani abbiano tanta poca stima della politica e dei politici. Qualcosa di positivo è stato fatto in questo mondo: a qualche cosa i suoi interpreti hanno rinunciato sotto la spinta di una critica sempre più accesa, ma perché resta nelle coscienze degli italiani l’amarezza di una “prova” che non ha dato i risultati sperati? Perché, l’immagine che i politici hanno offerto è quella di un insetto che, attaccato dall’alto, tende ad arrotolarsi, a rinchiudersi nella sua difficile, odiosa ingenerosità? Chi sono gli sponsor più “pesanti” del fenomeno Cinque Stelle, se non i rappresentanti di questa ingenerosità? Chi se non questa ingenerosità militante ha messo i destini del Paese nelle mani di Grillo, l’uomo più pericoloso, a detta dei critici più severi? E non sto facendo d’ogni erba un fascio: nulla divide il marcio del calcio, o del Vaticano, dal marcio della politica. Vorrei avere speranza, vorrei poter sperare che la politica sia in grado di rivoltarsi come un calzi no e scusate se credo che la partita più importante si giochi qui. Vorrei, altrimenti questa Italia è finita, non sarà più in grado di salvare se stessa.
Dario Fo
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