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Non c’è posto sull’arca di Letta, beccatevi il diluvio

Creato il 26 giugno 2013 da Albertocapece

debito_pubblicoNon passa giorno che qualcuno non ci affligga con la lezioncina del “non c’è alternativa” alle larghe intese e a questo governicchio dell’inconsistenza. Napolitano ci tempesta di moniti precompilati, i piddini si aggrappano alla necessità in forma metafisica e persino il condannato Berlusconi non ha alcuna intenzione di scendere dal tram, nonostante i proclami guerrieri. E’ uno spettacolo desolante soprattutto perché è vero che non esiste alcuna alternativa, ma non a questo, bensì  a cercare strade alternative.

Basta fare il conticino della spesa per vedere che il governo Letta è solo l’arca che la classe dirigente del Paese sta costruendo – anche a costo di manomettere la Costituzione – per sopravvivere al diluvio. Supponiamo per un momento che accada un miracolo: che si dica no agli F35, che si fermi definitivamente l’avventura della Tav e del ponte sullo stretto che costa un occhio della testa anche come semplice fantasia, che si dimezzino le pensioni d’oro e gli emolumenti reali sia dei parlamentari che dei consiglieri regionali, che si aboliscano le provincie. Bene allora mettiamo a risparmio due miliardi l’anno per il programma di acquisto dei caccia, uno e mezzo per la dismissione delle grandi opere e dei relativi organismi, sei per le pensioni  d’oro, circa due da tutto ciò che si può sottrarre al funzionamento della politica e altrettanti  dalla sparizione delle province. Bene, grosso modo avremo un risparmio gigantesco di circa 13,5 miliardi l’anno per un decennio e uno strutturale di 10.

I miracoli purtroppo non avvengono, ma anche avessimo questo bene, dall’anno prossimo dovremmo spendere una cifra molto vicina ai 50 miliardi l’anno (per vent’anni) per soddisfare il trattato del fiscal compact. Quindi anche di fronte a un prodigio senza precedenti la spesa dello Stato aumenterebbe di oltre 37 miliardi, senza contare spese accessorie dovute al mes o anche alla caduta della raccolta fiscale dentro una crisi così profonda o a un nuovo rialzo degli spread. Tutto quello che il governo Letta dell’Inciucio fa balenare sono solo ombre cinesi proiettate in continuazione attraverso la lanterna magica dei media. Mentre avremmo bisogno di giganteschi investimenti per reindustrializzare il Paese, ci troviamo nella situazione di dover stringere sempre più la cinghia in un circolo vizioso che non ha fine o meglio che ha come unhappy end il default.

Quello di cui avremmo bisogno è un governo politico che prepari un avveduto consolidamento del debito e un’uscita dall’euro, misure sulle quali rinfondare un patto sociale e del lavoro ormai marcito nell’età del berlusconismo. Ognuna delle due misure da sola non sarebbe sufficiente: ci eviterebbe il disastro, ma non garantirebbe la risalita. Una sola ristrutturazione del debito ci lascerebbe comunque in balia di una moneta anomala, ingestibile e inadatta al nostro sistema produttivo, la sola uscita dall’euro ci lascerebbe sulle spalle un debito enorme in moneta forte. Si tratta di problemi tecnicamente complessi, ma non c’è bisogno di essere premi nobel dell’economia per comprenderne la sostanza. Purtroppo però abbiamo una grottesca situazione nella quale la destra sembra voler puntare solo su un’uscita dalla moneta unica che è tuttavia l’arma perfetta che permette di realizzare gli obiettivi dei governi Berlusconi: azzeramento del welfare e precarizzazione come unica risposta alla competitività. Mentre il centro sinistra per motivi che mi sfuggono e che non vorrei fossero gli stessi della destra, ha fatto dell’euro un feticcio per cui, semmai, punterebbe solo al consolidamento debitorio accettando eventualmente tutte le condizioni dickensiane dei cravattari europei.

Le nozze tra i due non porta però a una sintesi tra  questi umori, anzi gli azzera e dà luogo a un programma politico di grande ambizione: aspettare che accada qualcosa facendo il meno possibile e chiacchierando il più possibile per evitare di far capire che non c’è alcuna idea della rotta. E ancor più, legarsi ai posti di comando per ogni evenienza: che la tempesta strappi le vele e costringa a mettere mano alle pompe o che l’assenza di vento faccia rischiare la morte per fame all’equipaggio, loro sono al timone aspettando un salvataggio di cui i marinai pagheranno il prezzo. Questo del resto è il significato dell’essere sulla stessa barca. Ci vorrebbe un ammutinamento della consapevolezza, ma ci potrà essere solo quando ci si accorgerà che non si è in una crociera sfigata da cui poi si torna a casa, ma in una traversata di sopravvivenza.


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