Non c'e' sempre una seconda opportunita' per fare la cosa giusta

Creato il 10 gennaio 2012 da Valeskywalker @valeskywalker

Ieri, sotto forma di messaggio in bottiglia dei tempi moderni (ovvero un link via facebook) mi sono ritrovata davanti ad un filmato dell'ultimo giorno di scuola girato alla fine del mio quarto anno di liceo. Non avendo avuto ne' una videocamera ne' una camera digitale con funzione video fino al 2004, quello e' davvero il primo filmato in cui appaio nella mia vita. Mi ha fatto tenerezza sentire la mia voce e vedermi con  quella maglietta striminzita a scoprire l'ombelico , ricordando cosi' che un tempo viaggiavo  pancia all'aria 365 giorni all'anno e che oggi, a fare altrettanto prima di luglio e dopo agosto, schianterei di coliche.
E soprattutto ho pensato al mio ultimo giorno di scuola, l'anno dopo, e poi all'esame di maturita' nelle settimane successive.  E, di conseguenza, ancora una volta mi e' tornata in mente la lezione piu' importante che ho imparato in quei giorni.
Che non c'e' sempre una seconda opportunita' per fare la cosa giusta, buona, corretta, anche se si tratta di un gesto semplice o addirittura banale. Negli alti e bassi di ogni giorno, non vado mai a dormire senza aver risolto un litigio o un'incomprensione, anche se a volte e' faticoso, se non doloroso. E non importa quanto sono impegnata, se devo rispondere a una gentilezza, a una domanda, a una richiesta, cerco di farlo prima possibile.
Che questo fosse il modo giusto di comportarsi, almeno secondo me, lo sapevo gia', anche se non sempre lo applicavo.
Poi, quel giorno, poco prima di compiere 19 anni, e' successo che ho davvero perso l'opportunita' di fare la cosa giusta. E da allora non ho mai piu' voluto ripetere l'errore.
Quando vedo le persone a me vicine  rimandare per fretta o per orgoglio quelle piccole cose che sanno di voler o di dover fare , come fare pace o semplicemente rispondere ad un amico, ne soffro personalmente, perche' mi ricordo di quella volta.
Era fine luglio, 1998. In quei giorni la maggioranza degli studenti del mio liceo, come me, aveva gia' passato l'orale degli esami di maturita'. C'era questa grande atmosfera di eccitazione: dopo cinque anni finiva il liceo, avremmo tutti intrapreso strade nuove, forse ci saremmo rivisti, forse no, erano quei giorni in cui per la prima volta ognuno di noi sentiva che tutto non solo poteva, ma stava per accadere e che le nostre vite sarebbero tutte, per forza, cambiate.
Chi aveva gia' sostenuto l'orale la sera usciva, gli altri stavano ancora a casa a ripassare. Andai al Teatro S. Filippo per vedere uno spettacolo in cu recitava una nostra compagna di liceo. Poco prima dell'inizio, quella ragazza di 5F con la quale non ero mai stata strettamente amica, ma con cui scambiavo sempre due parole perche' non mancava mai di salutarmi quando ci incrociavamo nei corridoi, agito' la mano e mi sorrise, facendomi cenno di avvicinarmi. Io le risposi con il gesto di dopo e proseguii a parlare con qualche altra compagno o compagna di scuola, nemmeno ricordo chi. Mi ricordo lei invece, con i suoi capelli scuri ad incorniciarne il sorriso luminoso. Era una studentessa modello: qualche giorno dopo parti' per le vacanze con sua mamma, prima ancora della pubblicazione dei cartelloni, perche' sapeva gia' di essere andata bene.
Lei non vide mai quel cartellone con 60 accanto al suo nome.
E io non seppi mai che cosa avrebbe voluto dirmi quella sera, se mi fossi avvicinata, rispondendo al suo sorridente invito invece di rimandare, pur sapendo che lo spettacolo poi sarebbe iniziato e sarebbe stato difficile ritrovarsi dopo.
Si chiamava Patrizia Talamo, e anche se non ci conoscevamo bene, mi ha insegnato qualcosa di davvero importante.


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