Non ci si può fidare più nemmeno delle stelle

Da Mirco
Cipì è un romanzo scritto con una semplicità che a un adulto come me imbarazza, ma dato che è un classico, e anche molto carino, ho deciso di parlarne.
Mario Lodi e suoi ragazzi di Vho di Piadena, ci raccontano la storia di due passerotti, Cipì e Passerì, trasferendo nel favolistico mondo degli animali i problemi di tutti i giorni, come il procacciamento del cibo e i pericoli costituiti da gatti famelici e uomini crudeli. In questo caso la visione del mondo è volutamente lontana da ogni tentazione antropocentrica: tutto è visto dagli occhi dei passerotti e delle creature della natura. Infatti molti di questi elementi hanno un nome differente: il Sole, ad esempio, si chiama Palla di fuoco perché "Sole" lo abbiamo chiamato noi essere umani, e da quelli Cipì e gli altri se ne stanno giustamente alla larga.
Altro fondamentale aspetto del racconto, ed elemento pedagogicamente rilevante, è la curiosità, sostanza di cui i bambini, che non fanno certo fatica a riconoscersi nella avventure di Cipì e Passerì, si nutrono sin dalla nascita e che in questo caso viene vista come esplorazione di un mondo affascinante, adulatorio, ma anche molto crudele se non si hanno le conoscenze giuste per poterlo affrontare.
Lodi non rinuncia al realismo, quindi se da una parte riesce a rendere poetica la natura proprio perché allontanata dal punto di vista umano, dall'altra non censura le difficoltà che stanno nel cercare il cibo e respingere i predatori.Quindi la fame e la morte sono elementi vivi e continui, e soltanto con l'aiuto reciproco possono essere affrontati. Lodi è dunque consapevole che non si deve nascondere questo aspetto a un bambino: d'altronde le favole stesse parlano di morte, e sempre più spesso però, nella narrativa moderna, si dimentica di quanto sia importante affrontare questa paura nascosta ma sempre presente nel nostro inconscio. Mi accorgo che spesso la morte, soprattutto nelle riscritture dei romanzi classici e delle fiabe, viene omessa, dimenticata, trasformata in qualcosa di più dolce, come se essa non fosse sempre presente anche se lontana ai nostri occhi, così come lo era da Lyra ne Il cannocchiale d'ambra prima che questa ne scoprisse l'esistenza e potesse addirittura vederla. Nonostante esista una buona bibliografia che parla di questo argomento, se si segue un certo percorso di letture soprattutto di carattere mainstream, sembra che la morte stia tornando ad essere tabù. Non si capisce perché, ad esempio, nella riscrittura de Le avventure di Tom Sawyer di Geronimo Stilton, viene omesso l'omicidio di Joe l'indiano, così come viene abilmente aggirata la morte dell'indiano stesso a fine romanzo. Il romanzo di Mark Twain, tra l'altro, contiene una delle scene più suggestive dell'intera produzione per ragazzi; il grande scrittore americano dà vita a uno dei nostri desideri più inconsci, un desiderio comune a tutti gli adolescenti dice Antonio Faeti nell'introduzione a questo classico, una di quelle questioni che ogni tanto ci chiediamo come possa essere ma che ovviamente non possiamo e non potremo mai sapere. Chi l'ha letto ha già capito: Tom assiste al proprio funerale, e la sua entrata in chiesa proprio durante la cerimonia funebre è qualcosa di epico, è come il ritorno di un eroe da una grande battaglia invece che da una incredibile mascalzonata.
Allo stesso tempo sono rimasto perplesso dopo aver visto la seconda trasposizione animata giapponese di Piccole Donne dal titolo Una per tutte, tutte per una realizzata dalla Nippon Animation. Questa produzione fa parte del World Masterpiece Theater, una serie di anime tratti da importanti classici per l'infanzia. In questa versione non viene raccontata la drammatica morte di Beth. La morte è una grave omissione che stranamente non era presente nella versione animata della stessa Nippon Animation de Le avventure di Tom Sawyer  dal titolo Tom Story. Forse in quei sette anni di differenza che separano la messa in onda di Tom Story e quella di Una per tutte, tutte per una era cambiato qualcosa.
Il libro di Mario Lodi quindi, almeno per questo argomento, è uno strumento didattico importante. D'altronde come scrittore resistenziale lo scrittore non poteva rinunciare a descrivere gli aspetti più crudi dell'esistenza umana.
Il rapace nascosto nell'oscurità che con i suoi occhi a forma di stella irretisce i passerotti per mangiarli, può essere visto nel duplice aspetto di cattiva amicizia ma anche come ammaestratore di persone, tiranno, o con un termine più chiaro: dittatore. E' su questo che voglio portare l'attenzione, a come sia facile cadere nelle trappole della dittatura e dell'ammaestramento mediatico e di come sia difficile resistere alla tentazione di non approfondire perché alla maggioranza delle persone (degli animali in questo caso) non interessa farlo: a loro non interessa andare oltre il velo dell'apparenza. Soltanto alla fine però, convinti dalle prove schiaccianti fornite da un cocciuto Cipì, si accorgono che nascosta nell'ombra c'era una presenza estremamente cattiva che si teneva volutamente distante e che di sé lasciava vedere soltanto due splendide lucette che a tutti sembrano innocue stelle.

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