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Non ci sono più i 18 aprile di una volta

Creato il 15 aprile 2013 da Albertocapece

fronte-popolare_fondo-magazine1Anna Lombroso per il Simplicissisimus

Vi ricordate quel diciotto aprile
d’aver votato democristiani
Senza pensare all’indomani
a rovinare la gioventù
O care madri dell’Italia
e che ben presto vi pentirete
I vostri figli ancor vedrete
abbandonare lor casolar…

E operai e compagni tutti,
che sempre uniti noi saremo
e tutti in coro noi canteremo:
Bandiera rossa trionferà.

Dice la canzone. Ho letto tanto di quel 18 aprile e ne ho sentito parlare molto in casa quando raccontavano di mio papà candidato e di mia nonna Elena, esile e temeraria, che faceva propaganda per il Fronte, passeggiando alle Zattere o in Campo Santo Stefano con mio zio piccolo, toccandosi la fronte con la manina guantata di pizzo nero sotto la sua elegante paglietta e dicendo: qua dietro c’è la mente, fatela lavorare per il bene dei vostri figli.
Non vinse il Fronte popolare quel 18 aprile, anzi con il 31% dei voti, i due partiti di sinistra ottennero insieme meno voti di quanti ne conquistarono separatamente nel 1946. La Dc si aggiudicò la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta dei seggi, caso unico nella storia della Repubblica, stabilendo la sua l’egemonia e la bassa mobilità elettorale; consolidando l’esclusione dei comunisti da ogni governo; confermando l’adesione dell’Italia al blocco occidentale; disegnando una mappa geopolitica che vedeva le sinistre forti nel centro-nord, la DC nel Triveneto e le destre al Sud; esaltando la contrapposizione comunismo-anticomunismo e la trasformazione dell’avversario politico in nemico da delegittimare; ratificando l’influenza marcata delle gerarchie ecclesiastiche nella politica.

Eppure mentre si avvicinano il 18 aprile, l’elezione del Presidente della Repubblica, i compromessi squallidi al posto delle alleanze solidali, in presenza di un parlamento espressione sì del voto, ma depotenziato del suo ruolo e della permanenza di un governo formalmente in carica, ma delegittimato, e che ciononostante dovrebbero compiere scelte decisive per completare l’architrave di una costruzione giuridica, costituzionale, ed economica, c’è di che guardare a quel 18 aprile 1948 come a un momento potente e intenso della democrazia, da ricordare con rimpianto e non solo per l’occasione perduta, ma per la presenza di forti partiti di massa, per l’esprimersi di una consapevole e appassionata appartenenza ideologica e l’adesione popolare a due concezioni della società oltre che ai partiti politici di riferimento.

Cosa è rimasto di quella tensione morale e civile? se la società non si sente più rappresentata, se a una sinistra, che ha scelto di dare le dimissioni dal ruolo di testimonianza e di portavoce di interessi popolari, ha fatto difetto non soltanto la capacità di far previsioni ma di vedere quel che succedeva nel Paese.
Per anni si è sentenziato che il patto del Fronte è stato un errore politico fatale. E la Storia darebbe ragione a queste critiche.
Non ha trionfato la bandiera rossa. Eppure quanto fu creativa anche se intempestiva quell’esperienza, e quanto anticipò quel bisogno di dare un’alternativa democratica, laica, riformista all’egemonia democristiana offrendo un modello di sviluppo civile, sociale, produttivo, economico diverso e “altro”. Un compito consegnato già allora a una sinistra che oggi si vergogna di esserlo, che rifiuta questo incarico, che interpreta il compromesso come una accondiscendente conciliazione con quello che doveva essere visto come il nemico di classe piuttosto come al patto preliminare pensato da Gramsci, per dare vita a una costituente antifascista o dai due partiti di massa del ’48 per battere la Dc, i cascami fascisti ancora presenti, gli interessi dei quali erano portatori.

Eppure proprio come allora c’è bisogno di idee di sinistra, di riconoscimento e appartenenza intorno a convinzioni egualitarie, in tempi di disuguaglianze sempre più inique, di autodeterminazione, in tempi di un autoritarismo sempre più perentorio ed esplicito, di libertà, in tempi di licenza da regole e leggi che la impoveriscono manomettono. La crisi della “relazione operativa tra idee e partiti, l’indole del ceto dirigente a sfumare il ruolo identificativo degli ideali e dei diritti, non devono frantumare la nostra aspirazione a stare dalla parte giusta.


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