Tornando ai bei vecchi tempi della Strategia di Lisbona (quando l’Unione veniva proclamata l’economia più competitiva e a base di conoscenza del mondo), le Commissioni di Prodi e Barroso hanno entrambe più volte ribadito che: “Al momento, alcuni dei nostri partner internazionali competono con risorse primarie che noi non abbiamo nella UE ed in Europa. Alcuni competono con manodopera a basso costo, che noi non vogliamo. Alcuni competono a spese del loro ambiente, cosa che noi non accettiamo”.
Cosa è successo nel frattempo?
L’eccessiva finanziarizzazione e deregolamentazione dei mercati globalizzati ha portato i mal retribuiti (contadini trasformati in) lavoratori cinesi all’attenzione dell’Europa. Così, negli ultimi due decenni, l’organizzazione economica della UE ha gradualmente ma stabilmente lasciato la sua tradizione incentrata sul lavoro, per il metodo d’oltreoceano incentrato sugli investimenti. Questo grande evento, come vediamo dal ditirambo dell’Eurozona, ha molte conseguenze culturali, socio-economiche e di equilibri politici, senza calcolare la crescita della Cina. Quel poco lavoro, rarefatto e compresso, che ancora si appoggia ai vecchi sindacati, sta o competendo amaramente o sta fortemente appoggiando i lavoratori stranieri che non vengono rappresentati o vengono zittiti dai movimenti ‘di destra’, e altrimenti discriminati e ostacolati nei loro diritti socio-politici elementari. E’ così che l’Europa si è separata dal mondo del lavoro, e questo è il perché il continente oggi non riesce ad orientarsi (avrebbe dovuto identificarsi criticamente in una sfida, e calibrare e ridefinire il patto europeo). Per orientarsi, è necessario stare al centro: senza una sinistra ed una destra, non esiste un centro, giusto?!
L’Europa contemporanea ha finito per perdere la sua “sinistra” politica. La grande storica conquista dell’Europa – dopo la sanguinosa lotta di classe durata secoli – il compromesso di riconciliazione tra capitale e lavoratore. Il risultato fu un vivace consolidamento di capacità imprenditoriale economica ma allo stesso tempo socialmente giusta e benefica. Questo risultato di colossale civilizzazione è ciò che ha portato all’Europa il riconoscimento internazionale, l’ammirazione come modello d’attrazione, e la competitività e prosperità e stabilità interna… Nel paese d’origine della parola dēmokratía, il Presidente dell’Internazionale Socialista ha recentemente introdotto alla sua cittadinanza il taglio più drastico che qualsiasi sistema di assistenza sociale europeo abbia attuato negli ultimi 80 anni. Il resto dell’Europa ufficiale (e non ufficiale, noi spettatori) sta ancora masticando quello che viene chiamato debito greco, come se non si trattasse della vita di 12 milioni di persone, ma un mero oggetto tecnico studiato nelle scuole secondarie al corso di macro-economia. Come se banalizzando ciò che vediamo (o vogliamo vedere), non stessimo noi stessi brutalizzando ciò che succederà più tardi anche a noi. (Un governo non eletto si sta lentamente allargando nella UE, sempre in più Stati).
Il Sindacato attuale, invecchiato ma non modificato, sta nell’ombra del grande tabù sul fatto che la UE sia in grado di produrre qualsiasi cosa eccetto la sua stessa vita. Il ‘Vecchio Continente’ sta affondando demograficamente, mentre riesce a malapena a restare a galla economicamente. La classe media è impoverita ed il contratto sociale tra generazioni è stato silenziosamente abbandonato, assieme d uno dei suoi strumenti principali – la strategia di Lisbona – che è stata consumata, e alla fine ha perso la sua coerenza.
Per aggravare la situazione, praticamente tutti gli Stati europei hanno risposto in maniera sbagliata alla crisi tagliando sul loro budget per l’istruzione e la ricerca scientifica. Non è una mossa politica, ma panico anti-visionario che va a tagliare sulle generazioni future. (Esempio: gli investimenti verso il rinnovabile da parte della UE sono in decremento dal 2008. Ancora oggi, il budget della UE assegnato all’agricoltura è 10 volte superiore a quello assegnato per la ricerca e lo sviluppo).
Qual è l’ulteriore effetto diffuso della crisi sulla democrazia? L’11 settembre è solo una di una serie di conferme (esempio: dal ‘Nixon shock’ alla continua saga del debito Euro-greco) che ogni crisi va a beneficio di chi punta a concentrare il potere non trasparente. Una volta che una vera democrazia inizia a compromettere i suoi contenuti fondamentali, si corrode, degenera e diventa formale. Molti esempi contemporanei ci mostrano come a una democrazia formale non ci voglia molto prima di diventare una dittatura opprimente autocratica, dando il compito alla polizia o alle forze militari di occuparsi di un ferreo controllo democratico e civile. Una vera democrazia deve tenere il suo istituto finanziario (così come i suoi corpi armati, e altri settori di potere) sotto una rigida sorveglianza popolare democratica e sotto il controllo civile tramite un chiaro meccanismo di verifica ed equilibrio. Questa è la quintessenza della democrazia.
“C’è stata poca volontà di rafforzare i supervisori civici delle istituzioni finanziarie internazionali, che potrebbero provvedere un servizio più accurato delle agenzie di rating le quali hanno avuto un effetto disastroso sulla crisi finanziaria…” – dice il Direttore del FRIDE Institute, Richard Youngs nel suo celebre libro Europe’s Decline and Fall. Effettivamente, esiste una agenzia di rating per la bancarotta etica, per una profonda crisi morale che tocca tutti i settori sociali che abbiamo intorno?
Al momento, la fase finale di quella che viene chiamata Euro-crisi sembra rivelare che le istituzioni finanziarie non sono né sotto il controllo democratico né all’interno del dominio della sovranità nazionale. (Esempio: 20 anni fa, il valore delle transazioni finanziarie globali era 12 volte il prodotto annuale lordo del mondo. Verso la fine del 2011, era circa 70 volte più grande). Finora, l’Islanda rimane l’unico paese che ha accusato e condannato il suo Primo Ministro in relazione alla crisi finanziaria.
Di conseguenza, negoziare sulla “crisi del debito dell’Euro-zona” (debito verso l’economia) senza restaurare la dimenticata strategia di Lisbona (società basata sulla conoscenza) sarebbe solo un discorso ingenuo di forma senza nessuna sostanza – è un grande affare per esercitare controllo tramite l’austerity, non una visione di prosperità.
Quindi, la differenza tra una storia dialettica ed una storia ciclica è la distanza tra successo e caduta: il nuovo trattato di Lisbona non dovrebbe sostituire ma accompagnare la precedente strategia di Lisbona. Effettuare di nuovo la strategia di Lisbona reintroducendo tutti i suoi contenuti è l’unica opportunità strategica per l’Europa insieme alla responsabilità generazionale e storica.
(Traduzione dall’inglese di Giuliano Luiu)