Salvo forse per rivoluzione e zabaione, nutro ormai un forte sospetto nei confronti dei paroloni che finiscono per one: valorizzazione, semplificazione, privatizzazione, liberalizzazione, tassazione, perfino Costituzione che viene impiegata a intermittenza per coprire tutti gli oltraggi. Perché gli oni sono ormai ipilastri dell’ideologia e anche della pratica che finiranno per cancellare sovranità, democrazia, diritti secondo gli untorelli chiamati a guarirci della malattia della quale hanno diffuso il contagio e che hanno festosamente fatto degenerare in epidemia e “emergenza”.
Vi ricordate quando la presidente della Camera scoprì con stupore in occasione di un suicidio collettivo, che in Italia esistevano i poveri? Con la stessa sorpresa, grazie all’Istat – istituto che non ha mai quantificato spese della politica e neppure il numero degli esodati o simili che vivono in un limbo generazionale, fatto di miseria perdita e incertezza tra occupazione e ipotetica pensione – Renzi ha scoperto che il lavoro, anzi il non lavoro è un’emergenza “allucinante”, termine appropriato per un leader che ha convertito una giovinezza non freschissima in giovanilismo di ritorno.
Sorpreso si, il Renzi, ma non impreparato, così ha estratto il suo pizzino detto job act con i riflettori puntati sui giovani: entro la fine di questo mese, tutti i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 24 anni disoccupati o che hanno completato gli studi (a certe condizioni anche quelli fino a 29 anni) se si registreranno a un servizio provinciale per l’impiego potranno ottenere entro 4 mesi un’ offerta di lavoro, di prosecuzione negli studi oppure di apprendistato o di tirocinio. E poi il Naspi, un sussidio di disoccupazione universale, destinato a tutti coloro che perdono il posto. Tutti. Compresi i meno protetti tra i precari: i collaboratori a progetto, oggi fuori da quasi tutti i sostegni. Il piano costerà 1,6 miliardi in più di quanto oggi si spende per i sussidi, dunque 8,8 miliardi in tutto, meno di quanto sin qui prospettato. Ma assicurerà protezione anche a quel milione e 200 mila lavoratori, ora per diversi motivi totalmente senza rete, in caso di disoccupazione. E potrebbe essere finanziata con uno spostamento di risorse dalla Cig in deroga, che vale 2,5-3 miliardi annui.
Sarò maliziosa, ma visto così sembra uno di quei soliti cerotti troppo corti, figli dell’emergenza, che integrano carità pelosa e precarizzazione (altra parola in one) definitiva, con approssimative allusioni alla riduzione del costo del lavoro, della pressione fiscale che grava sui più deboli, e con acrobatiche rivoluzioni (reddito minimo garantito senza accenni all’importo, posti di lavoro per giovani, naturalmente a fronte di garanzie progressive, e dunque senza garanzie iniziali; decollo della produzione; morte della burocrazia e chi più ne ha più ne metta) che il giovinastro al governo e i suoi fan definiscono svolta epocale.
Ammesso poi che non si tratti solo di un annuncio, di quelli appena un po’ meno roboanti, cui aveva abituato gli italiani il vero padrone di Renzi, quello del milione di posti di lavoro e della cura contro il cancro, anticipando in questo caso la soluzione finale greca.
Ma che il “sussidio” non abbia vita facile lo ha lasciato già intendere su la 7 proprio stamattina una parata di infamoni, tutti renziani o diversamente renziani,: Lanzillotta, Bechis, il cauto Migliore sempre in via di peggioramento, il responsabile economico del Pd Taddei e l’orrendo Gumpel, quello che non si arrende che l’Italia sia solo un protettorato commissariato dalla sua patria lontana e rimpianta, e non un grande moderno lager in grado di fornire merce-lavoro al grande mercato globale. E infatti ha messo in guardia dall’empio impiego del sussidio, che ha prodotto danni perfino nell’incorruttibile Germania dove qualche cattivo soggetto ne ha approfittato senza piegarsi a una qualsiasi occupazione sia pure avvilente. E se è successo là, figuriamoci cosa accadrebbe in questa nazione di imbelli, indolenti, pigri, parassitari.
È che siamo nelle mani inesperte di gentaglia che ha un unico credo, l’ubbidienza ad ordini dall’alto, in un succedersi per li rami di vassalli e valvassori. Così Renzi si fa felice interprete dell’idea di lavoro concepita da un padronato senza confini, riscritta in vulgata più pedestre, adatta a un Paese che non deve contare nulla, dire nulla, opporsi a nulla, da una banda di ragazzotti cresciuti a master costosi di quelli che promuovono tutti, Madia, Stefano Sacchi, Taddei, forse conquistati in qualche ateneo albanese e suggeriti da sibaritici eremi nelle Cayman.
In una prima fase si costringe alla rinuncia tramite ricatto di alcuni diritti fondamentali, in previsione illusoria di una seconda fase di introduzione di alcune garanzie di sicurezza sociale. Quelli cui si elargisce un’assunzione devono contestualmente abdicare alla stabilità, alle già scarse (post riforma Fornero) tutele dell’art. 18 contro il licenziamento immotivato, almeno per i primi tre anni. In cambio, se liberamente licenziati, potranno accedere, se non hanno i requisiti per i tradizionali, iniqui e arbitrari ammortizzatori sociali, a un sussidio di disoccupazione, limitato nel tempo, e condizionato dalla disponibilità ad accettare qualunque offerta di lavoro, anche la più avvilente e inappropriata. E contemporaneamente, il contratto a tempo determinato diventa completamente discrezionale, talmente informale da non giustificarne l’esistenza.
Dopo la riforma Fornero insomma perché qualcuno avrebbe mai avere interesse ad assumere a tempo indeterminato, se non un simpatico utopista visionario, che spera così di dare forma a una ribellione simbolica alla barbarie al potere, prossimo eroe di un edificante sceneggiato Raiset?