Inquadrare la situazione economica di un Paese è sempre più difficile. Oltre le notizie che leggiamo sui giornali, oltre i pregiudizi, i miti, i rating e i dati macroeconomici, la realtà si tinge di sfumature, raramente è bianca o nera, spesso è grigia. Come il fumo di Londra.
Le notizie che arrivano dall’Inghilterra non sono sempre chiare e spesso contraddittorie. Il mito della City di Londra, profondamente radicato in molti giovani del sud Europa, cozza terribilmente con la povertà che si sta formando nel resto del Paese. Quella che viene considerata la patria del libero mercato, anche se Adam Smith era scozzese, l’ex impero coloniale saldamente fedele alla sua unicità ed alla sua indipendenza, il mito della “cool britannia” nato con Blair, tutto questo, sta mostrando negli ultimi anni le sue crepe più profonde.
A seguito della crisi dei mutui l’economia inglese, fortemente concentrata nel settore terziario dei servizi, si trovava in mezzo alla tempesta e la Bank Of England, per mettersi al riparo dalla corsa agli sportelli, ha nazionalizzato parecchie banche e comprato azioni di molte altre.
Dopo due recessioni, 2007-09 e 2011-12, e le conseguenti politiche d’austerità perpetrate dal governo conservatore di Cameron che hanno portato a ingenti tagli della spesa pubblica e del welfare state, i dati macroeconomici sono preoccupanti: una disoccupazione intorno all’8%, il deficit più alto della zona euro che si attesta quasi al 9% e un debito complessivo, l’insieme di quello pubblico e privato di aziende e famiglie, secondo al mondo solo al Giappone con il 507%.
Questi dati farebbero gridare all’immediata uscita dalla zona euro, se si riferissero ad un Paese membro, ma l’Inghilterra non lo è e questo vantaggio viene riconosciuto anche da Jonathan Portes, direttore del National Institute for economic and social research (NIESR) che ha dichiarato: “Se facessimo parte della moneta unica subiremmo lo stesso grado di sfiducia che i mercati riservano a Spagna e Italia. La differenza l’ha fatta l’indipendenza della banca centrale e in misura minore la flessibilità del tasso di cambio”.
Questa difficile situazione ha infine portato nel febbraio di quest’anno ad una conseguenza che non si verificava da 35 anni: le agenzie di rating Moody’s e Fitch hanno declassato il debito britannico levando la “mitica” AAA, sul cui mantenimento Cameron aveva messo la faccia, passando rispettivamente a Aa1 e AA+. Questo avvenimento è ancor più significativo se teniamo conto degli stretti legami e conflitti d’interessi che legano le agenzie di rating al centro finanziario della City di Londra.
Per fermare la recessione in Inghilterra hanno deciso di agire in linea con le risposte intraprese in USA e Giappone. Infatti, esattamente come la Federal Reserve e la Bank of Japan, la Bank of England ha dato il via dal 2009 ad una serie di iniezioni di moneta elettronica nel sistema a tassi d’interesse molto bassi, attraverso il sistema del Quantitative Easing.
Queste manovre hanno naturalmente alleggerito l’asprezza delle misure d’austerity intraprese dal governo e hanno alimentato nell’opinione pubblica britannica, a fronte anche del paragone con il fallimento delle politiche dell’eurozona, la necessità di rendersi totalmente indipendenti dall’UE e di rifiutare qualsiasi trattato economico vincolante. La riprova di questo sentimento pubblico diffuso è la crescita esponenziale alle ultime elezioni regionali del partito euro-scettico UKIP, che dalla destra del partito conservatore è riuscito a strappare la promessa al Primo Ministro Cameron di un referendum sull’UE per il 2017.
L’economia britannica ha avuto un sussulto di ripresa nei mesi appena successivi alle olimpiadi di Londra nel 2012 e, dopo una brusca frenata che ha fatto temere a molti la terza recessione, ora sembra in solida ripresa ed uscita definitivamente dalla recessione. Ad agosto tutti gli indici manifatturieri erano in crescita, mentre il settore dei servizi era ai massimi da sei anni. Merito di questa risalita, secondo il Ministro dell’economia George Osborne, va al programma “help to buy”, destinato a rilanciare il mercato immobiliare. Questa forma di stimolo è destinata a continuare e a trainare l’economia britannica ancora a lungo dato che la seconda e più massiccia fase del programma di stimolo del Governo, che riguarda tutto il settore immobiliare e non solo le case di nuova costruzione, scatta nel gennaio 2014 e durerà per tre anni. Ma questo programma secondo molti osservatori non farà altro che creare un’ennesima bolla immobiliare destinata a scoppiare quando gli stimoli finiranno, creando una nuova spirale di credito facile ed un ulteriore indebitamento in un Paese come abbiamo visto già altamente indebitato. Come se nel 2008 non si fosse imparata la lezione.
Infine, ma non meno importante c’è un ultimo fattore da tenere in considerazione. Come già accennato in precedenza, è necessario distinguere Londra dal resto della Gran Bretagna. La capitale da sola conta di 8 milioni di persone, genera all’incirca il 20% del Pil e la ripresa della crescita del valore immobiliare nella City ha raggiunto dei livelli non ancora eguagliati nel resto del Paese. A confermare l’estraneità della capitale dal resto del Paese sono giunti recentemente due sondaggi. Il primo di una società di reclutamento di personale, Astbury Marsden, secondo cui la grandissima parte di chi lavora nella City è disposta ad andare a lavorare all’estero piuttosto che in un’altra città britannica. Il secondo sondaggio arriva direttamente dall’OCSE da cui emerge che gli inglesi stanno peggio rispetto al recente passato. Da dati del 2013 risulta che l’indice Better Life, ossia di soddisfazione della vita, per quanto questo tipo di misurazione debba essere preso con le molle, è in netta discesa. La Gran Bretagna è scesa infatti di 3 posti, dal 15esimo al 18esimo, sul fronte della felicità, rispetto al 2011.
A riprova dell’abnorme divario tra il cuore finanziario pulsante della Gran Bretagna e il resto del Paese un articolo del Guardian dello scorso inverno segnalava come con il calare delle temperature, quando il prezzo dell’energia aumenta, un cittadino britannico su cinque è posto di fronte al dilemma “Heat or Eat”, scaldati o mangia, mentre The Indipendent scrive di come il servizio di Fare Share che invita i supermercati a donare le eccedenze di cibo sia in difficoltà in quanto la richiesta è aumentata del 16% e gli enti di beneficenza che usufruiscono di questo servizio del 26%.
Le difficoltà che sta attraversando la Gran Bretagna sono molto serie, ma in qualche maniera il mito patinato di Londra sembra riuscire ad offuscarle, non solo all’estero, ma anche nelle politiche interne del governo Cameron che taglia i servizi e il welfare ma non solo non osa introdurre la Tobin Tax o un maggior regolamento delle transazioni finanziarie, ma rischia di cadere negli stessi tragici errori del recente passato. Quando il Tamigi rompe gli argini la Gran Bretagna è isolata.