Quante cose che è stato per me Il giardino dei Finzi-Contini.
Ferrara prima del 1938, gli anni del fascismo più roboante e parolaio a cui ancora non è stato presentato il conto. Ubriacatura di proclami, slavina di promesse che non saranno mantenute. La quiete prima della tempesta, assai peggiore della quiete dopo la tempesta.
Quella casa della borghesia ebrea, quelle mura che sembrano preservare dalle offese del tempo e della storia. Le partite di tennis, le merende all'aria aperta, la musica che gonfia le vele delle emozioni. Come se tutto fosse allo stesso modo di sempre. Come se anche il futuro dovesse bussare alla porta con discrezione e rispetto.
La bella Micòl, imprendibile per il ragazzo taciturno e introverso, quasi un intruso. I capelli di rame che si sciolgono come un sogno di felicità. Il sorriso che nasconde parole non dette, più enigma che complicità. Il lampo di una possibilità che rimane tale e che accompagnerà tutta la vita che rimane davanti. L'occasione perduta che non si ripresenterà.
E poi il rimpianto di un amore che non c'è stato che si mescola ai fatti troppo veri della storia. Perché questo è il libro che più di tutti mi parla dell'orrore della Shoah in realtà senza parlarne mai, fermandosi prima. Forse proprio per questo: perché accorda il terribile senso della sparizione allo scorrere delle stagioni della vita.
Non c'è bisogno di anniversari per ritrovare un libro che merita, magari abbandonato da troppo tempo su uno scaffale.