Oggi ho preso un treno per andare all’ultima riunione in Ekis prima della pausa estiva. Arriva l’ora di partenza ed il treno non parte. Non parte neanche nei dieci, quindici, venticinque, trenta minuti successivi, finchè, quando la partenza aveva maturato un ben quaranta minuti di ritardo inspiegabile, al meno per noi lì seduti per benino, passa scheggiando la capotreno urlando, io sono riuscita a sentire “potete prendere quello per Genova delle 8:05“ e “non sapiamo se e quando parte, ci sono problemi con le porte”.
Ok, non rifletto neanche un po’ e mi diriggo verso il treno consigliato. Peccato che non ci fosse nessuno in partenza per Genova
E nessuno ci sapeva dire se quello lì in partenza non ricordo per dove delle 8:05 avrebbe fatto tutte le fermate delle quali noi, viaggiatori inbuffaliti, avevamo bisogno. Ma fiduciosi saliamo lo stesso, logicamente era pieno, e quindi ci ammuchiamo negli spazi accanto ai servizi.Nel mio metro quadro eravamo in quattro, io e due ragazze e un ragazzo, non avranno avuto più di vent’anni e stavano andando in vacanza, vestiti e gadgettati (passatemi il neologismo) per l’occasione. Sentivo i loro commenti, e se a vederli erano freschi, pieni di forza e di vita, a sentirli sembravano vecchi tre vite. “Ma insomma, siamo in Europa!”, urlava una col collo irrigidito, l’altro diceva: -”prossima volta prendo la mia macchina e mi faccio pure la coda ma ben seduto comodo e non in questo treno scadente”- , -“vergogna, vergogna, manca solo che adesso mi chiedano i soldi, figurati se glieli do”-.
Nel metro quadro subito accanto al nostro respiravano altre quattro persone, lei vestita con un completo rigato e camicia bianca, occhiali da sole enormi e i capelli messi in piega, sembrava un po’ agitata, ma non per il ritardo, sembraba pronta per un appuntamento importante, ma comunque anche lei si lamentava. E mentre osservavo tutta la scena, e sorridevo tra me e me, pensando quanto mi piaciono queste situazioni, sento le due ragazze peruviane, che avevo già sentito nel treno in ritardo. Stavano andando a lavorare nelle case al mare, come tutti i lunedi d’estate, per le famiglie per le quali lavorano a Milano, ed erano li, tranquille, sorridenti, che parlavano d’amore..si, d’amore, di sguardi, di parole dette e non dette, di parole sentite, di gesti di tenerezza che le facevano sognare un futuro così bello come quella mattina di lunedì, piena di teneri ricordi..
Mi sono fatta un po’ li affari di tutti come avrari capito, ma non mi sono fermata li. La Coach che è in me non è riuscita a trattenersi, e all’enessima sbuffata del ragazzo accanto a me gli chiedo: “Dove stai andando?” (intrusione nell’intimità di uno sconosciuto che da straniera mi posso permettere di fare facendo finta di non conoscere i codici di vicinanza) “In vacanza vado, dovevo iniziarla tra due ore e invece sono già in ritardo” allora gli ho detto: “Vuoi una buona notizia?: sei già in vacanza!! da oggi quando ti sei svegliato per prepararti e metterti quelle mutande verdi furioso che i tuoi pantaloni alle ginochia lasciano vedere chiaramente. Sei in vacanza! hai pure le cuffie al collo, mettile nelle orechie, scegli la musica che ti piace di più, e siediti qui, guarda, sulla tua valigia, ti faccio un po’ di spazio, e inizia a goderti il tuo tempo senza impegni”
Secondo me rideva ancora per la storia delle mutande, e insieme a lui le ragazze e tutti quanti. L’energia nei nostri due metri quadri è migliorata, e le ragazze peruviane, scometto quanto vuoi, stanno ora scivendo una lettera profumata di rosa dopo una giornata di lavoro, sognando il treno che venerdì le riporterà dal loro amore.
Non sempre siamo padroni delle situazioni che ci tocca vivere, ma siamo responsabili al cento per cento del modo in qui reaggiamo a queste situazioni. Possiamo fermare l’avalanga gelida ed affissiante di lamentelle, sbuffate, frasi fatte e labbra serrate, e possiamo abbandonarci alla vita, lasciarci cullare dal tempo e riempirlo di bei pensieri.
Alla prossima