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Non è colpa del Jobs Act se il tempo indeterminato non esisterà più

Creato il 09 marzo 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

Il lavoro a tempo indeterminato ha vita breve. Colpa della politica? La politica non c'entra, è l'economia a decidere se il lavoro a tempo indeterminato ha ancora senso di esistere o meno. La legge può fare ogni sforzo, ma è il mercato a fare le scelte. Nel 1970 la politica italiana aveva compiuto un gesto radicale: fare di tutto per dare all'economia di mercato una regola sul lavoro. Quella regola era il contratto di lavoro a tempo indeterminato, tutelato dalla protezione di ferro dell'articolo 18. Nessuna impresa (sopra i 15 dipendenti) poteva assumere del personale senza l'ipotesi che questo sarebbe potuto rimanere in azienda dal giorno dell'assunzione fino a quello del pensionamento. 

Oggi non è solo il contratto di lavoro a tempo indeterminato ad essere messo in discussione, ma l'idea stessa di lavoro dipendente, di lavoro subordinato. Le nuove economie digitali, AirBnB, BlaBlaCar, Uber e i social network non sono forti perché hanno più dipendenti. Sono forti perché hanno utenti, ovvero, collaboratori quasi imprenditori (nei fatti, lavoratori autonomi) on-demand, pronti a mettere a disposizione i propri mezzi per competere sulla piattaforma. Le briciole guadagnate da loro sono la ricchezza di chi ha avuto per primo l'idea. Per approfondire questo scenario quasi post-apocalittico, consiglio un illuminante articolo del Corriere Economia.

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Mentre nel mondo esplodono questi cambiamenti, in Italia vengono approvati il Jobs Act e lo Statuto dei Lavoratori Autonomi. Il primo ridisegna il lavoro subordinato – Smart Working compreso – mentre l'altro prova a (ri)dare al lavoro in proprio, con nuove tutele, una certa dignità, dopo l'epoca delle bistrattate partite IVA. Insomma, il Governo sta provando a mettere ordine in un mercato del lavoro popolato dalle figure più varie ed eventuali: dipendenti ultra-garantiti, dipendenti a tutele crescenti, dipendenti a termine, dipendenti intermittenti, collaboratori a progetto (quasi eliminati, ma tenuti strategicamente in vita dove serve), collaboratori coordinati e continuativi (i precari per eccellenza), lavoratori autonomi professionisti (le vere partite IVA) e lavoratori autonomi occasionali (quelli dei "lavoretti"), per non parlare degli stagisti, degli apprendisti e dei lavoratori pagati a voucher.

Ma la legge non interviene sui cambiamenti epocali della Grande Crisi (meno soldi in giro) e della Ondata Digitale (tutto gratis, anche il lavoro) e si limita a dare qualche puntello ad un mondo del lavoro che è sempre meno di oggi e sempre più di ieri. Con un welfare statale in piena crisi (e un welfare aziendale ancora agli inizi), i provvedimenti attuali non sembrano sufficienti a dirigere il cambiamento in atto.

Eppure, bisogna prenderli in seria considerazione e conoscerli a fondo, perché sono questi gli strumenti legali con cui l'oggi si prepara ad affrontare il domani.

Simone Caroli


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