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Non è il governo dei poteri forti? E allora parliamo di Iva sugli e-book

Creato il 21 novembre 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Nel corso del dibattito parlamentare sulla fiducia, il nuovo presidente del consiglio Mario Monti ha tenuto a precisare, anche con una punta di infastidita ironia, che il suo nuovo governo non è, come dicono molti e da diverse parti politiche, espressione dei famigerati “poteri forti”. Affermazione su cui sarebbe lecito avanzare qualche riserva, vista la storia personale di Monti e dei suoi ministri, le circostanze che hanno portato all’insediamento di questo governo e persino le procedure, costituzionalmente piuttosto atipiche, che hanno portato alla nomina del nuovo esecutivo. Ma si tratta di questioni politiche sulle quali non è qui il caso di indagare oltre.

Non è il governo dei poteri forti? E allora parliamo di Iva sugli e-book
Proviamo allora a prendere per buona l’affermazione, chiedendo però qualche riscontro concreto. E, tralasciando per un attimo la verifica dell’indipendenza dai veri “poteri forti” della finanza internazionale e dell’economia politica globalizzata, accontentiamoci in prima battuta di vedere come il governo si comporta coi “poteri deboli”, ovvero con quei gruppi dominanti tutti autoctoni che hanno finora occupato, a partire dalla non controversa figura del presidente-operaio-imprenditore, il governo nazionale; poteri che magari fuori dai confini italiani contano poco e vengono snobbati con sufficienza, ma che in casa nostra hanno dettato legge e leggi, facendo del conflitto d’interessi una barzelletta che è persino diventato stucchevole evocare.
Il settore editoriale è un buon terreno su cui misurare la dichiarata indipendenza del professor Monti, trattandosi di uno dei settori dell’economia nazionale in cui più è evidente la concentrazione di denari e poteri nelle mani di una ristretta oligarchia, che condiziona il mercato interno dettandone le regole di funzionamento e controllando direttamente tutte le fasi della filiera. E un buon banco di prova, in questo campo, rappresenta la questione dell’Iva sugli e-book, che è oggi al 21% (mentre quella sui libri cartacei è al 4). Questione che, fra l’altro, è certamente di competenza dell’esecutivo (e non del legislativo, che è il parlamento) e che potrebbe tornare di piena attualità, visto che si ventila un ulteriore possibile ritocco di questa forma di tassazione.
Siccome di una riduzione dell’Iva sugli e-book beneficerebbero tutti gli editori, grandi e piccoli, va forse spiegato perché questo provvedimento sarebbe in realtà un riequilibratore del mercato e non un favore ai soliti grandi squali. Il fatto è che, a oggi e nel mercato italiano, l’e-book è molto più importante per i piccoli editori che per i colossi del settore. Basta guardare la ripartizione delle quote del mercato degli e-book, dove si riducono di molto le posizioni dominanti ed emergono più facilmente soggetti diversi dai soliti noti; e se è vero che questo dato era addirittura clamoroso fino a qualche mese fa (perché i grandi editori hanno a lungo nicchiato e si sono rassegnati di contraggenio alla vendita degli e-book con un certo ritardo), è vero anche che sostanziali e incoraggianti differenze rispetto al mercato dei libri tradizionali resistono anche oggi che tutti gli editori mettono a disposizione la versione elettronica di ogni opera edita. Va da sé che, mentre per un grande editore l’e-book rapprenta lo zerovirgolazero e qualcosa del suo fatturato, per un piccolo spesso costituisce una percentuale che comincia con un numero primo.
Va poi aggiunto che l’e-book riduce le differenze determinate dalla diversa capacità di investimento pubblicitario: certo, il lettore che ha già deciso cosa comprare è per forza condizionato dalla qualità e dalla quantità della comunicazione messa in campo, e qui i grandi editori conservano il loro vantaggio di partenza. Questa è però la stessa, particolare, situazione del lettore che entra in libreria ordinando a colpo sicuro quel titolo. Ma vi sono poi i lettori che entrano in libreria aggirandosi tra gli scaffali, curiosando, leggendo le quarte di copertina e facendo dopo la loro scelta; e in questo caso vi è una bella differenza tra l’aggirarsi in una libreria che ti propone in evidenza alcuni titoli e altri li nasconde nel retrobottega, e navigare nei siti degli store di e-book, dove la condizione di partenza è grossomodo uguale per tutti. E, in generale, va detto che distributori e venditori di e-book praticano una politica diversa da quella delle catene librarie (ovviamente, perché le catene sono proprietà di chi sappiamo), ruotando molto di più gli spazi di maggiore visibilità, le offerte e le opportunità promozionali.
La questione dell’Iva è importante, come abbiamo già avuto modo di spiegare. L’Iva al 21% infatti azzera (e, anzi, ribalta la situazione) il risparmio che l’editore realizza, con l’e-book, grazie all’assenza di una produzione industriale e della spesa per la materia prima (la carta). Se, a oggi, l’e-book può essere messo in vendita a un prezzo inferiore rispetto allo stesso titolo cartaceo è solo grazie alla filiera più corta (l’e-book nasce con un distributore che è anche venditore), con un ricarico inferiore delle percentuali spettanti alla parte commerciale. Ma questo margine di risparmio per l’editore si va assottigliando, con l’entrata in gioco dei grandi store (da Ibs fino a Amazon), che rivestono nell’e-commerce la stessa funzione della libreria, che non sono distributori ma venditori e che portano quindi la filiera dell’e-book ad assomigliare ormai, anche nei costi, a quella del libro tradizionale. E, a questo punto, il rischio sarà di svendere e-book in perdita o metterli in vendita a un prezzo più alto del titolo cartaceo, determinando la crisi di un settore dove il piccolo editore avrebbe le armi per competere; o comunque riassegnando un vantaggio al grande editore che, nella sua economia di scala, può scegliere se snobbare gli e-book (vendendoli a prezzi alti e contribuendo ad affossare il settore) o se assorbire gli effetti di una vendita sotto costo praticando una sorta di dumping.
Sarebbe quindi il caso che la voce dei piccoli editori si levasse, con una certa forza, per chiedere che l’Iva sugli e-book venga parificata a quella sui libri cartacei e portata al 4%. E sarebbe bene che la flebile voce di Autodafé non restasse isolata.
Vogliamo chiamarlo appello? Va bene. Vediamo se qualche piccolo editore sottoscrive e vediamo se riusciamo a farci sentire dal governo del professor Monti.


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