Perché questo accade lo spiega nell’articolo lo scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi e nel farlo sfiora quella che, a mio modo di vedere, è la “madre” di tutte le motivazioni. Quella che ha consentito che tutte le propagande attecchissero e tutte le trame d’intelligence avessero successo: la presunzione del nostro mondo: così laico, moderno, acculturato. La presunzione che non si consente dubbi sulla propria superiorità.
Kureishi prova a incamminarsi nell’autocritica:
“Forse bisognerebbe chiedersi che cosa “non” gli abbiamo fatto e che cosa non siamo stati capaci di dirgli, di insegnarli. Certo, sono cresciuti in mezzo a noi. O più precisamente, di fianco a noi: in genere in quartieri, famiglie, ambienti più poveri rispetto all’establishment nazionale. Quali modelli e quali ideali offre loro la società occidentale? Il consumismo, la commercializzazione, la ricchezza come valore in sé, la fama da conquistare a colpi di reality show. ” Questi giovani, egli aggiunge, credono in qualcosa che a essi sembra un ideale nobile e puro, e la religione islamica offre loro un modello alternativo.
E’ vero che la sete di ideali muove i giovani perché la, tanto dimenticata, Natura affida loro il compito del rinnovamento, ma i canali in cui questo si esprime cambiano con il tempo.
Che cosa fu l’esplosione del ’68 se non un’urgenza sociale, politica e anche spirituale? La nostra società del vuoto e dell’apparenza è il fallimento delle proposte di quella rivoluzione.
Oggi, a discendere, la rivolta non avviene più attraverso una proposta rivolta a noi, bensì prendendo la via della fuga: “meglio morire che vivere così”. Aleggia da molto tempo sulle nostre società un istinto di morte che ostinatamente ignoriamo nella sua manifestazione più terrificante: il suicidio è la prima causa dei decessi degli adolescenti. Lo dicono le statistiche – che in altri campi seguiamo pedissequamente – ma nulla accade, perché questa società finge di poter fare a meno dei pensatori, ignora la filosofia, l’antropologia, la psicologia.
Del reclutamento Isis o Al Nusra sottolineo un aspetto trascurato perché si tende a limitare le ragioni al richiamo esercitato
La storia del rapper londinese L-Jinny, Abdel-Majed Abdel Bary, combattente in Siria e là forse rimasto ucciso, è emblematica. La famiglia aveva ottenuto asilo politico in Gran Bretagna dopo l’incarceramento e le torture subite in Egitto dal padre sospettato, evidentemente a torto poiché fu rilasciato, d’essere islamista; ma nel 2012 il governo inglese lo consegna alle autorità degli Stati Uniti per “sospetti legami” con AlQaeda. Là si trova tuttora senza processo.
Predicare i diritti umani e non praticarli è un grande incentivo alla critica e al rifiuto della nostra civiltà, ma Kureishi non si spinge abbastanza avanti da riconoscere che la civiltà occidentale deve cambiare prima di tutto in se stessa e per se stessa; è insufficiente riconoscere qua e là un errore, sociale o geopolitico, commesso verso gli arabi e la cultura islamica. Occorre scendere dal piedistallo.
Un altro passo dell’importante articolo di Lorenzo Piersantelli dà voce a Thierry Meyssan. Alla domanda “Che fare?” Meyssan conclude:
“Infine, sostenere il presidente Obama nei confronti di coloro -come il senatore John McCain che, anche all’interno della propria amministrazione, organizzano e finanziano le manipolazioni mentali degli jihadisti.”
McCain sostiene gli interessi dell’establishment americano tanto quanto il presidente! Nel “gioco di ruolo” l’uno finanzia ciò che l’altro andrà a colpire.
Oggi, 25 novembre, gli aerei della Coalizione dei 33 stati anti-Isis [ved. nota 1] hanno bombardato Raqqa, la cosiddetta capitale dello Stato Islamico. A un primo calcolo: 60 morti.
Come si può vedere nel video in fondo a questo articolo, i corpi giacciono in una strada cittadina. Non è stato centrato un arsenale, non è stato colpita una sala di riunione di capi jihadisti. Sono stati trucidati dei passanti, gente come noi ma con una imbarazzante differenza, per le coscienze deste: quella gente subisce sia il governo dell’Isis sia i bombardamenti della coalizione, mentre noi apparteniamo ai paesi che danno corso ai raid aerei per “la nostra sicurezza”.
Nella vecchia Europa, David Cameron – inerte verso i cittadini britannici nelle mani dell’Isis come il giornalista John Cantlie – dà al corpo special SAS l‘ordine di uccidere i cittadini britannici trovati a combattere nelle file jihadiste.
Tragedia nella tragedia: siamo lontano dall’imboccare il percorso del nostro cambiamento. Certamente prima o poi, 1.000 o 10.000 morti in più o in meno, sul terreno il Califfato verrà sconfitto, ma le ragioni della rivolta saranno ancora più forti.
Già dovremmo porci la questione di come rapportarci a un Medio Oriente che ne uscirà distrutto, regredito di cinquant’anni, con dei giovani che non avranno conosciuto altro che sangue, violenza, odio, paura e voglia di rivalsa, masse che non avranno avuto una scolarizzazione regolare, nessuna preparazione al lavoro, nessuna conoscenza dei rapporti sociali di pacifica convivenze.
Si stanno alacremente tessendo i nodi che i nostri figli e nipoti dovranno sciogliere.
Raqqa, 25 novembre
Il racconto “neutro” dei media
nota 1 = alcune fonti dicono che è stata l’aviazione siriana, probabilmente per addossare solamente ad Assad l’eccidio, tuttavia questo articolo del giorno precedente dichiara che la coalizione effettua bombardamenti su Raqqa – 2 Near Raqqah, two airstrikes struck an ISIL headquarters building. – See more at: http://www.netnewsledger.com/2014/11/24/coalition-air-strikes-in-syria-and-iraq-continue/#sthash.KofFxVU4.dpuf” ]