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non è un’opinione

Creato il 08 novembre 2012 da Plus1gmt

A volte mi chiedo con tutti questi numeri che senso abbia usare ancora le parole. E per fortuna che non è più come una volta che quando si doveva fare una telefonata bisognava cercare il nome nell’agenda, ruotare il disco cifra per cifra con uno sforzo di concentrazione oggi impensabile e anche quando qualcuno ti chiedeva da cambiare una banconota da mille in gettoni oppure ti capitava l’occhio su qualche messaggio osé intagliato sul metallo della cabina, con tanto di contatto indicato, non si verificava mai alcun conflitto di informazione. L’ultimo giro riportava gli occhielli a posto e si attendeva speranzosi il suono di libero. Ed era facile che a furia di chiamare la stessa persona il suo numero lo si ricordasse a memoria, anche perché se quella persona era speciale e il suo numero non te lo ricordavi rischiavi grosso. Poi sapete cosa è successo ed è inutile ribadirlo qui. Fatto sta che se sono in coda al supermercato e sto per digitare il pin del bancomat e la cassiera mi avvisa del totale da pagare anziché indicarmelo sul display, sono finito. Occorre cercare il telefono, ricordarsi il finto nominativo segreto a cui ho associato ciò che mi consentirà di tornare a casa con la spesa quindi procedere, deluso della mia memoria e della modernità stessa.

Ma oggi ce la faremmo con tutti i numeri che dobbiamo tenere a mente? Io no, e parlo per me. Nel mio piccolo però ricordo benissimo il mio primo numero di telefono fisso e ricordo anche quando mio papà entrò in casa con passo trionfale per comunicarci quella fondamentale evoluzione tecnologica della nostra famiglia. Ricordo la targa della prima automobile che ho avuto, e a dire la verità non so il perché. Mi sono ricordato qualche giorno fa persino del mio numero di matricola che avevo all’università. Non ci credete? Eccolo. 1235643. Eppure, quando sento le persone parlare tra di loro, sembra che si esprimano in una sorta di linguaggio macchina composto solo da cifre, e badate, con le droghe ho smesso da tempo. Gli amici si comunicano solo le chiavi WEP e i codici per attivare ricariche telefoniche, i figli ricordano ai genitori solo le password per recuperare i loro dati da qualche parte, i morti si rivolgono ai vivi in sogno prevedendo quaterne e cinquine. No, questo purtroppo no, o per lo meno non a me e se mi succedesse dubito che avrei la prontezza di svegliarmi e annotarmi la sequenza sul taccuino che porto sempre con me per metter per iscritto appunti che talvolta sviluppo anche qui. E da svegli sembra di vivere in una eterna prova teatrale, dove le parti non hanno importanza e gli attori dicono cose come tremila seicentocinquanta quattro, ventuno? Novantasei settemilaedue quaranta! E c’è pure chi sostiene che ci sia poesia nella matematica. Può darsi. Io non la vedo né la sento. Tutti che ti chiedono dati a supporto, percentuali e delta, indirizzi IP e taglie di scarpe e pantaloni. Altezza, lunghezza, profondità, temperatura, pressione, perimetro, area e volume. Stop. Basta. Facciamola finita, anzi, iniziamo il conto alla rovescia.



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