“Non eravamo PIIGS. Torneremo Italia”

Creato il 30 ottobre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

A distanza di otto mesi dal primo appuntamento che ha consegnato al pubblico italiano le chiavi d’accesso per l’apprendimento della Modern Money Theory (MMT), si è svolto, sempre nella cornice del 105 Stadium di Rimini, il II Summit nazionale MMT dal titolo “Non eravamo PIIGS. Torneremo Italia”. Ancora una volta si è trattato di un evento completamente autofinanziato dai cittadini, con più di mille presenti. La replica si è appena svolta a Cagliari (27-28 ottobre). Questo duplice evento produrrà un manifesto MMT da applicare in Italia, una piattaforma economica per il ritorno alla sovranità monetaria ed uno Stato, legittimato dai cittadini, che spenda a deficit per la piena occupazione.

Questi i relatori: Warren Mosler, co-fondatore della MMT e del Center for Full Employment and Price Stability (CFEPS) presso l’Università del Missouri a Kansas City; il circuitista Alain Parguez, ex consigliere di Mitterand e professore dell’Università di Besancon; Mathew Forstater, direttore del CFEPS, esponente della MMT chiamato dall’allora Ministero del Lavoro argentino a fornire gli strumenti per il recupero della prosperità economica attraverso programmi di piena occupazione a seguito del default del Paese all’inizio del 2000. Infine il giornalista Paolo Barnard il quale, attraverso l’organizzazione di tali eventi ed una costante opera di divulgazione che da diversi mesi ormai sta portando in giro per l’Italia, sta fornendo grande visibilità alla MMT.

“La disoccupazione è un crimine contro l’umanità”. La lapidaria apertura di Warren Mosler costituisce, oltre che la semplice quanto radicale presa di coscienza dinanzi ad un galoppante aumento del tasso di disoccupazione nei Paesi dell’Eurozona, una conclusione fondata su una approfondita conoscenza del sistema monetario e di cosa sia realmente la moneta, fulcro della MMT. “Immaginate questo biglietto da visita [mostrando alla platea il piccolo pezzo di carta]. Esso di per sé non avrebbe alcun valore. Ma se io vi dicessi che per uscire da questa sala avrete bisogno necessariamente di procurarvi quattro di questi biglietti, ad esempio lavorando, sarete costretti a lavorare per procurarveli. E’ esattamente quello che fa uno Stato e che dovrebbe fare l’Italia per riacquistare la sua sovranità monetaria. Il Governo dovrebbe decidere di cominciare a tassare in una moneta che non esiste, ad esempio la nuova lira. A questo punto ci sarebbe una grande domanda della nuova valuta. E disoccupazione, perché la gente dovrà lavorare per procurarsela. Il lavoro verrà garantito dallo Stato. E’ assolutamente in grado di farlo, non avrebbe alcun senso rendere disoccupate, con l’introduzione della nuova valuta, più persone di quante non se ne possano rioccupare”. Concetti, quelli affrontati, semplicemente rivoluzionari nella misura in cui rovesciano, con argomentazioni tecniche, i principi economici ortodossi oggi dominanti. Sotto accusa l’Euro, una moneta straniera per l’Italia e per i paesi dell’Eurozona, che essi possono solo utilizzare ma non emettere, essendo costretti per questo a prenderla in prestito dai mercati privati. “L’Unione monetaria europea – afferma Mathew Forstater – è costruita su un approccio pre-keynesiano. Essa si concentra sul lato dell’offerta, è devota alla religiosa convinzione che i mercati si autocorreggano, si preoccupa dell’inflazione ed impone parametri restrittivi di spesa agli Stati, come quelli dettati a Mastricht. L’architettura dell’Unione monetaria è deficitaria fin dalle sue origini. Ha ridotto gli Stati alla stregua di cittadini privati, ad esclusivi utilizzatori di moneta, non emettitori. Con questa struttura, anche se la politica volesse, non si potrebbero mettere in atto politiche anti-cicliche [spendere e non tagliare nei momenti di crisi economica nda]. Gli Stati, nel contesto europeo, dipendono dai mercati privati”.

La MMT rappresenta una teoria economica che ha una lunga tradizione alle spalle, che percorre tutto il XX secolo. Da Friedrich Knapp, padre del Cartalismo, a Keynes, ideatore della funzione dello Stato per la piena occupazione, dalla finanza funzionale di Abba Lerner ai bilanci settoriali di Wynne Godley, da Hyman Minsky a Charles Goodhart della Banca d’Inghilterra e della London School of Economics, che una volta disse: “Sono trecento anni che ci dicono che il debito pubblico è un problema e sono trecento anni che non lo è”. Proprio restando sul tema, Barnard si focalizza sulla situazione specifica dell’Italia “dove ci dicono che dobbiamo fare sacrifici perché siamo stati spendaccioni. I dati dicono il contrario. Negli anni ’90 l’agenzia di rating Standard&Poors, con dati riguardanti debito pubblico ed inflazione peggiori rispetto a quelli di oggi, ci definiva Paese leader dell’Europa”. Ancora sull’inflazione, con il supporto di grafici e tabelle: “Nel 1980 l’Italia aveva un’inflazione del 21,2%, oggi considerata a livelli africani. Eppure con quel livello di inflazione l’Italia era il primo Paese al mondo in quanto a tasso di risparmio privato, che toccava il 25%, ossia si riusciva a mettere da parte un quarto del reddito. Nel 2009, con un’inflazione considerata “virtuosa” dello 0,9%, il tasso di risparmio privato è crollato di quattro volte, al 6,8%”.

La Modern Money Theory pone al centro l’importanza di comprendere il funzionamento dei sistemi monetari, la funzione della moneta. Che cos’è la moneta moderna, la Modern Money, appunto? “E’ denaro non convertibile in un bene come l’oro o altre valute ad un tasso di cambio fisso, come l’Argentina dell’ancoraggio al dollaro” spiega Forstater. “E’ fluttuante, ossia ha tasso variabile. Poi, altro elemento fondamentale, il Governo ha il monopolio della sua emissione. Bisogna capire che la valuta non ha valore intrinseco. Il valore è dato dal fatto che si impone una tassa con quella valuta”. E qui arriva un altro schiaffo a quanto è scolpito nella credenza collettiva, ossia che lo Stato debba tassare i cittadini per finanziare la sua spesa. “Ciò è tecnicamente falso per uno Stato a moneta sovrana. Uno Stato che impone la sua moneta attraverso le tasse, deve prima metterla in circolo, in quanto monopolista dell’emissione. Uno Stato a moneta sovrana prima spende e poi tassa. L’ente emettitore non può riscuotere prima di spendere. La tassazione serve solo a creare domanda di valuta. L’Italia della lira era nella posizione di fare questo. Con l’Euro il meccanismo si è invertito, con la BCE nel ruolo di emettitore e l’Italia che ora deve prima tassare i cittadini o prendere in prestito dai mercati e poi spendere”.

L’economista francese Alain Parguez si sofferma sulla ratio stessa dell’Eurozona: “L’euro è stato esplicitamente creato per generare una specie di isola di potere assoluto delle grandi corporations, con la distruzione dello Stato sociale. Nucleo della creazione dell’euro è la privatizzazione dello Stato. I creatori dell’euro sono anti-Stato”. E ne ripercorre i riferimenti ideologici: “Keynes è stato totalmente ignorato. La scuola economica austriaca di Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, che odiava l’esistenza stessa della democrazia ed auspicava il trasferimento del potere ad una gerarchia di tecnocrati, ha costituito il vero faro nella costruzione di questa Europa”.

La MMT stabilisce come priorità, quale obiettivo preciso di politica economica, il raggiungimento della piena occupazione. Uno Stato che gode di sovranità monetaria può, deve garantire la piena occupazione, la job guarantee. Il suo perseguimento non ha effetti inflazionistici, ma solo benefici: stabilizzazione delle aspettative delle aziende, mantenimento delle competenze e delle conoscenze, più reddito, più fatturato, più gettito fiscale, i problemi ed i costi sociali diminuiscono, minori abbandoni scolastici, iter scolastici completati, miglioramento delle condizioni di vita delle comunità più disagiate. La premessa fondamentale è abbandonare l’Euro, ma è la politica che nella fase successiva dovrà davvero contare e soprattutto capire: “Riprendersi la moneta, anche se passo fondamentale, da solo non basta se si continua a cercare il rigore dei conti con il pareggio di bilancio”. “Lo Stato – prosegue Mosler – dovrà, con la propria moneta, attuare una spesa a deficit, arricchendo il settore non governativo (cittadini ed aziende nda) garantendo la piena occupazione come obiettivo prioritario di politica economica”. Perchè, come affermava William Vickrey, economista canadese e premio Nobel per l’economia nel 1996, “il debito pubblico non è un peccato economico ma una necessità economica”. Come fa notare Mathew Forstater, in merito alla ability to pay dello Stato a moneta sovrana, “le capacità di finanziamento di un governo che opera in un sistema monetario moderno, con una moneta moderna, è infinita. Quando invece esso decide di operare a tasso di cambio fisso (currency board del caso argentino o Unione monetaria europea, per esempio) retrocede dal rango di emettitore a mero utilizzatore di valuta, alla stregua di un semplice cittadino o di una famiglia”.

Il professor Forstater si sofferma sull’applicazione pratica della MMT fatta in Argentina all’inizio del 2002, dopo l’abbandono da parte del governo del currency board, il regime a tassi di cambio fissi con il dollaro, che aveva portato ad una profonda crisi economica e sociale: “La situazione in Argentina era analoga a quella dell’Unione monetaria europea. L’Argentina doveva avere riserve di dollari prima di spendere, ma non li poteva emettere, quindi era nella posizione di dover generare entrate prima di spendere. Ciò portò a politiche di austerità, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni. Vi ricorda qualcosa?”. I sistemi a tassi fissi, come l’attuale Eurozona, non lasciano spazio per la politica economica, soprattutto in tempi di crisi. Ancora Forstater: “Quando il governo argentino decise di abbandonare il currency board con il dollaro, anche a seguito di rivolte sociali che causarono delle vittime, il FMI prevedeva il disastro per il Paese. Nei primi tre mesi sembrava potesse aver ragione, ma dopo un primo periodo di aggiustamento, nei sette anni successivi il Paese crebbe ad un tasso medio del 7%”. Ed arriva al contributo della MMT alla ripresa argentina con il Piano Jefes, attraverso il quale, sebbene su un campione circoscritto di popolazione, si garantì un’occupazione a tutti i jefes appunto, i capifamiglia. “Senza dubbio la ripresa argentina è stata guidata dalla domanda interna, senza aiuto di istituti finanziari o del Fondo Monetario Internazionale. La disoccupazione diminuì sensibilmente, dal 17, 8% all’8%. E forse il risultato più soddisfacente del Piano fu che, nei sondaggi svolti successivamente per registrare il riscontro da parte delle persone coinvolte, la maggior parte di loro affermò che con quelle decisioni di politica economica si era sentito finalmente rispettato. Un Paese può uscire da un sistema a cambi fissi e tornare alla prosperità. E’ chiaro, ciò dipende anche dal contesto specifico, ma il caso argentino costituisce un’indubbia lezione dalla quale trarre insegnamento”.


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