Quello della poesia di simonetta bumbi non è il primo caso che incontro, anzi molti poeti, artisti, anche altri che non sono né l’uno nell’altro, cercano una lontananza dalle maiuscole. Chi per il titolo di un solo libro, chi per molti, chi per tutti. Alcuni di loro per il proprio nome vogliono la minuscola. Altri, il nome lo cassano del tutto per firmarsi con una lettera sola, e ancora minuscola. Simonetta al telefono mi ha detto con una veemenza che riserva ai pochissimi casi su cui non transige, che nel riportare la sua poesia “dovevo” rispettare l’inesistenza della punteggiatura e soprattutto ogni minuscola. Sarà che personalmente rientro nella categoria dei minuscoli riguardo il nome proprio, la cosa non mi ha impressionato e neanche stupito il constatare come, la regola che avevo già nota, ossia quella del minimizzare il maiuscolo a priori, fosse, contrariamente a quello che se ne può credere, per niente anarchica e che anzi, in questo caso agisca sulla poesia della Bumbi regolarmente, semplicemente controvertendo i criteri di una percezione del sé in assoluto precedente alla regola. Il libro si intitola “quando qualcuno” edito dalle edizioni smasher, ed è un libro di poesia, se per poesia si intende la ricognizione dell’ente che la dice. Ri-cognizione nel senso di ri-conoscere in parola l’accaduto di sé mentre avviene. E senza nessuna protezione dallo strazio che questo compie. Non per tutti i poeti è così, non per tutti il centro è lo strazio, non per tutti la riduzione da operare in minuscole è sulla morte, ma per qualcuno sì. Fare poesia in questo frangente significa riconoscere in primo luogo il tempo della pena, la sua musica, ossia la durata di un movimento sconcio, non presentabile perché chiuso nell’appartenenza più fonda e trovare un composto sintattico che lo rappresenti con la stessa infedeltà a se stessi che si ha nei momento più autentici. Credo che nei passaggi più riusciti di “quando qualcuno” Simonetta Bumbi sia riuscita a rendere tutta la sfrenata dolcezza pregressa a ogni sistema di capitolazione della spontaneità, facendone in primo luogo un dono appassionato al suo lettore.
*
che i venti dell’alba, spirano intorno
di simonetta bumbi
pori ammaestrati nei fianchi
e sciabordio di impronte
nella mente, e seguire il ventre
si trascina
ché l’oscurità d’affetto s’affaccia
implacabile, come lama
assetata di vendetta verso la sua fetta,
e volere di pane è solo sete di sole
sulla fronte del frumento
se il petto mio lievita lacrime
all’ombra d’una farina che partorisce arsura
e allora il buio mi conta come un feto
e mi racconta del suo tempo
mentre tira le somme dell’ignara fase
ché dimentiche dei raggi
tutti i viaggi delle ore sono muschi
ed io, che volevo essere cucciolo di ragno,
invece nella tela della vita resto caccia
ché non esiste nido di presenza
per una vista nuda e dalla pelle cagna
