di Claudio Caligari. con: Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Roberta Mattei, Silvia D'Amico Italia, 2015 genere, drammatico durata,100'
"Nun te piacerebbe annattene da 'sta mmerda ?".
"E pe' anna' dove ?".
"Già, dove".
- da "Non essere cattivo" -
"Per
trent'anni m'e' stato impedito di girare, nel silenzio generale. Una
cosa incredibile. Evidentemente do fastidio. Non solo a livello
produttivo ma anche agli altri registi, agli altri autori". A quasi
quattro lustri dall'ultima prova dietro la mdp e a qualche mese dalla
scomparsa, torna al cospetto dei nostri occhi un'opera di Claudio
Caligari, regista la cui traiettoria cinematografica somiglia più ad una
via crucis silenziosa e negletta che ad un più routinario susseguirsi di alti e bassi professionali.
Entro
una forzata continuità, allora, gli stessi itinerari già segnati dei
miserabili cabotaggi di Cesare/Marinelli e Vittorio/Borghi (entrambi
assai convincenti), nel niente-di-niente con vista sul mare di Ostia, costola storta della
Città Eterna, a meta' anni '90, riecheggiano da subito, e a tratti,
tanto gli sbattimenti stralunati dei disperati di "Amore tossico",
(1983), quanto le esplosioni di furia frenetica dei balordi de "L'odore
della notte", (1998), a formare una sorta di trilogia ideale - e
purtroppo definitiva - in cui, ormai, le reazioni psicologiche ad una
realtà diventata coi decenni sempre più incomprensibile e, a pelle,
malevola, si sono vieppiù incarognite; gli sbocchi possibili si sono
cristallizzati in finte scelte umilianti o deprimenti; la capacita' e la
voglia d'interrogarsi e di mettere insieme risposte, s'è quasi del
tutto chiusa in un mutismo disilluso e rabbioso o s'è tradotta in
un'agitazione senza domani.
Proprio
questa lucidità scabra e sofferta (frutto d'un esperienza diretta e
continuativa con gli argomenti trattati) va evidenziata in primis in un
lavoro come "Non essere cattivo", all'interno del quale le figure di
Cesare e Vittorio (e quelle del piccolo giro che ruota loro attorno) -
ragazzi stremati più che emarginati da un Sistema che, ricordiamolo di
sfuggita, include solo a partire da un certo livello di consumi; malamente dediti al crimine, in particolare allo spaccio (inefficiente anch'esso, peraltro, in quanto spesso diluito nell'assunzione
personale), alle truffe minime, appena un gradino sopra il gioco delle
tre carte - si stagliano per ulteriore sottrazione su uno sfondo
inesistente (il lavoro, la comunità, le aspirazioni individuali),
corroso da decenni di sorti e progressive al tempo arrembanti e
cieche nel limitarsi a disporre in senso meramente predatorio delle
opportunità create dall'interazione delle attività umane con il
potenziale Tecn(olog)ico e a cui e' preclusa pressoché ogni via di fuga o
finanche di presa d'atto (il mare, spazio aperto e proiezione di uno
slancio al cambiamento per antonomasia, risulta assente o teatro muto e
freddo di pietosi traffici) che non siano istanti non schivabili di un
dolore indistruttibile (una ragazzina prosciugata da un AIDS ereditato)
o la feroce epifania di essere quasi tutto l'uno per l'altro
(addirittura struggente l'abbraccio-per-non-arrendersi a cui Vittorio costringe Cesare, manco a dirlo scimmiato).
Inoltre,
particolare non di poco conto, il gesto estremo di Caligari, teso e
desolato, si caratterizza pure - con una sua triste armonia, si potrebbe
dire - per la presenza a fianco di un solido impianto materico,
di strappi, di accelerazioni iperrealiste nelle forme, per dire, di
certi colori accesi ed espansi che animano notti illusoriamente senza
fine; di certi squarci di architetture/macerie parassitarie
ai limiti dell'allucinazione e del grottesco (Caligari: "Qui l'ambiente
e' ostile, non e' favorevole all'uomo e ai miei protagonisti. Non e'
creato a loro misura, ma a vantaggio di altre persone"); di certi
sguardi difficile dire se più increduli o terrorizzati di fronte ad
un'evidenza al punto irriducibile nella sua crudezza da sterilizzare
qualunque paradiso artificiale: e, per contro, di certe tenerezze
schive, certe ingenuità inusuali, ad evocare grumi di una qual
involontaria purezza. Anche per la coesistenza e la concordanza di tanti
e tali aspetti, così, appare pretestuoso - o quanto meno poco
plausibile - l'eventuale accostamento delle vicende ad un contesto proletario secondo le direttrici storiche, sociologiche e genericamente intellettuali consegnateci dalla tradizione. I due protagonisti, infatti, non rappresentano ne' il-borghese-che-non-e'-riuscito di celiniana memoria, ne' lo scrigno più
o meno intatto di valori arcaici contrario alla massificazione
ottundente degli oggetti e all'omologazione dei comportamenti caro - al
netto di successive e più severe rivisitazioni - a Pasolini.
Cesare e Vittorio, in altre parole, sono solo due persone alla deriva in un mondo che quotidianamente fa a meno di loro (consumatori sporadici e/o modici, per di più' asserviti ad un regime di dipendenza chimica di moltiplicata pervasività e distruttivita' operante su scale temporali talmente ridotte da farne utenti poco o punto affidabili), tarato com'è su criteri d'interpretazione (e di sopravvivenza) - il denaro, per primo, e ciò che il denaro può acquistare, oggi come oggi, quasi tutto - i quali non prevedono istanze di riscatto praticabili in quanto di fondo irrilevanti, se non dannose, al consolidamento del fine primario. Aggiunge ancora Caligari: "Dopo l'invasione nelle borgate della droga pesante, arrivano le nuove droghe sintetiche. La causa della fine dei valori pasoliniani e' proprio nel cambio del tipo di droga". Del resto, la necessita' di superare caratterizzazioni che allo stato attuale dei fatti risulterebbero, come minimo, approssimative, emerge fin dal titolo, beffardo, immune da qualunque risvolto pedagogico/moralistico, persino rivoluzionario, per altri: un sommesso, umanissimo invito a ricominciare daccapo, qui e ora, da noi stessi, per rigettare davvero ciò che siamo, ciò che vogliamo. TFK