Ha raccolto consensi ed attestati di stima praticamente ovunque, questo Non essere cattivo, film postumo diretto da Claudio Caligari e prodotto da Valerio Mastandrea, basterà dargli un’occasione, guardarlo e sarà più che comprensibile per chiunque rendersi conto del perché. Intriso di vita vera, di quella vita fatta di espedienti, miseria ed indigente disperazione, tipica di quella Roma dimenticata ed invisibile, miserrima e miserabile, Non essere cattivo non è nulla di inedito, eppure rappresenta una boccata di ossigeno nell’asfittico ed asettico panorama del cinema italiano. Parabola di fratellanza, scelta e sacrificio, il film di Caligari è prima di ogni altra cosa, il racconto di un’amicizia, giustamente ambientato negli allucinati anni 90, una storia di impossibile riscatto e di utopia, irraggiungibile chimera di qualcosa di inafferrabile. Nell’irriconoscibile ed anonima Roma delle borgate e della povertà soffocante, Vittorio e Cesare, due amici inseparabili, vivono di espedienti e piccola criminalità, cercando di sopravvivere al grigiore di una vita apparentemente senza via d’uscita, fino a che uno dei due tenterà di rimettere in carreggiata la propria vita… Non essere cattivo ragiona proprio di questo, di una gioventù senza speranza e senza scelta, lontana anni luce dai finti problemi della borghesia capitolina a cui ci ha abituato tanto cinema, lontano dalle colorate terrazze romane, dalle crisi di identità e dalla disperata voglia di contare qualcosa di tanta solipsistica gioventù cinematografica. Disperato e poco accondiscendente sia verso il suo pubblico che soprattutto verso i suoi personaggi, Non essere cattivo conquista spiacevolmente e definitivamente, rubandoci un pezzettino di cuore e regalandoci un’ultima sincera lacrima, rubataci dall’ultimo sguardo di un bambino.