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Uno scrittore e un filosofo s'incontrano e dialogano per giorni... No, aspettate, ricominciamo. Due signori programmano la scrittura di un libro con intenti (un po'?) pubblicitari, raccolgano un po' di avventure (romanzate?) del protagonista - il filosofo - ed il risultato è un'autobiografia a quattro mani. Perché uno dovrebbe pensare di essere Dio? Leggendo il libro non si capisce ma si intuisce che non essere Dio dovrebbe implicare essere creature mortali e sofferenti che sbagliano infinite volte nel sentiero dell'esistenza. Vattimo racconta la sua vita a Paterlini che trascrive il tutto, anche se la maggior parte del testo narra gli episodi in prima persona. Veniamo a conoscenza dell'infanzia del filosofo, della guerra, delle sue esperienze da esule calabrese, del suo rapporto con un frate tomista che se lo portava in montagna a fare gli esercizi spirituali (ma a cui non ha mai confessato di essere gay). Scopriamo che le Brigate rosse lo volevano far fuori (a Vattimo, perché ricopriva, a quanto pare, una posizione fastidiosa), delle esperienze come preside di facoltà a Torino e del suo unico vanto che dice di aver sempre conservato... la libertà. A leggere attentamente il libro, analizzando il suo modo di esprimersi viene da chiedersi... Cosa intenderà Vattimo per libertà? Libertà di espressione? Libertà di filosofare? In alcuni punti il libro diventa interessante, ad esempio quando il filosofo racconta come nel 1961 tenne la prima conferenza filosofica tenuta a Torino, davanti a quelli che lui definisce i “mostri sacri” della filosofia di allora: Abbagnano, Chiodi, Guzzo, Bobbio, Pareyson etc: «Ho venticinque anni, il mio narcisismo è alle stelle»… Criptico come sempre. Uno spera che almeno quando non fa filosofia Vattimo sia chiaro, ma poi purtroppo scopriamo che Vattimo fa sempre filosofia, ovvero, è sempre poco chiaro. Leggendo Non essere Dio si trovano contraddizioni addirittura nel racconto autobiografico! Certo, si apprezza - e non poco - che un uomo che ha già raggiunto l'apice del successo scelga di mettere in piazza la sua esistenza, le sue debolezze, i trascorsi burrascosi, le paure e, infine, le grandi soddisfazioni che lo hanno portato ad essere dov'è adesso. Vattimo si sofferma - e quanta tenerezza si prova - sul 1979, anno in cui il “pensiero debole” diventa il titolo di un libro collettivo e ci dice «sembra incredibile oggi che tutti ne rifuggono come dalla peste»; per chi ha letto quel libretto sa che sarebbe impossibile non sfuggire da una tale radicalizzazione del pensiero di Heidegger, uno da cui, sicuramente, Vattimo ha imparato la chiarezza espressiva (sono sarcastico, per precisare eh). Questo libro edito da Aliberti racconta la vita di un uomo filtrata dagli occhi di un giornalista; si apprezza sicuramente la volontà di mettersi in gioco, di narrare se stessi. Ma una domanda si mostra in tutta la sua autenticità: per essere davvero liberi in un paese come questo abbiamo solo due strade, o non essere Vattimo o essere Dio?
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