Mi succede qualche volta di capitare su LaEffe – la Tv di Feltrinelli – e di vedere brani di un programma di etnologia culinaria condotto da un cuoco francese che gira il mondo per provare i piatti per noi più strani e sconosciuti. Per un anno ho guardato distrattamente come si fanno i vermicelli nel cuore della Cina, come si prepara l’anguilla in Giappone, come si devastano i gamberetti in Belgio o si raccoglie il pepe a Ceylon, ma soprattutto cosa si mangia nel sud del mondo. Non ci sono assassini, violenze, sparatorie, stupri, offese, tette al vento, pezzi di carne umana venduti dalla De Filippi, nani o gozzuti pagati per fare spettacolo, nemmeno disgustosi cravattari o macchie umane che recitano davanti alle telecamere il rosario del dollaro, né competizioni in cucina da parte dei neo gladiatori armati di forchetta.
Ma solo qualche giorno fa mi sono trovato proprio all’inizio della trasmissione e ho scoperto che la visione del programma è sconsigliabile ai bambini non accompagnati. Per qualche secondo ho pensato che la mancanza di idiozia, volgarità, violenza e “sogni” correlati, potesse spaesare i bambini e magari gli stessi genitori in larga parte portatori di infantilità televisiva acquisita. Però questo non era plausibile dal momento che chi fa tv è portatore del medesimo spirito che contribuisce a diffondere e mi sono scervellato per trovare una qualunque spiegazione convincente. Eppure era lì, proprio dentro la scatola magica, quasi concentrata nel cuoco vagabondo che dopo un’ora di lavoro in una risaia esce con la schiena a pezzi e non può che osservare il pasto – magari anche buono – ma non certo lucculiano della famigliola di agricoltori. Era nella capanna mattoni, ondulato e paglia in cui si svolge la vita di queste persone che tra l’altro non sono propriamente povere, ma godono di uno status medio nel Paese in cui vivono (adesso non ricordo più se fossero le Filippine o Giava o la Tailandia ). Non c’è dubbio che i bambini potrebbero essere turbati dalla visione della povertà in cui vivono miliardi di persone, che la loro fragile mente potrebbe rimanere confusa dalla visione di un duro lavoro che non porta all’abbondanza, che la povertà non è un portato necessario dell’apatia o della non responsabilità, come sentono continuamente affermare. E i più svegli di loro potrebbero anche domandarsi se l’abbondanza relativa di cui godono non sia in qualche modo collegata a quelle povertà. Per non parlare del disagio se non del terrore che essi proverebbero di fronte alla constatazione che esistono culture, religioni, modi di concepire il mondo diversi tra loro e non solo primitive rispetto alla nostra, ma altrettanto complesse e per certi versi più raffinate.
Perciò è necessario che vi siano degli adulti vicino a loro, genitori che spieghino ciò che essi stessi non sanno o non hanno mai indagato, persone che sappiano chiarire come sia naturale che le cose stiano così perché è così che stanno le cose. Ossia tramandare il massimo argomento ontologico del pensiero unico. Lasciati da soli a vedere la povertà e la fatica potrebbero essere preda di pensieri non conformi, potrebbero essere presi persino dal gusto del dubbio, ossia diventare dei menomati nella società della competizione. Meglio che chiedano come si fanno i bambini o cosa ci fa di notte quella signora alta e scosciata sulla via di casa: è molto meno imbarazzante. E comunque questi e molti altri interrogativi saranno ben presto soddisfatti dalla televisione stessa, purché essi rimangano isolati dalla realtà e conoscano i veri “fatti della vita” solo quando saranno abbastanza corrotti da ignorarli.