Certe uscite valgono più di mille spiegazioni: "Il tempo indeterminato è monotono", "Il lavoro non è un diritto", "L'articolo 18 ha creato disoccupazione"… Il tutto, poi, seguito da una serie di richiami ipocriti a seguire il modello Germania (il Paese che maggiormente tutela il lavoro e i lavoratori), proprio mentre si massacrano i diritti dei lavoratori italiani. A fare queste dichiarazioni sono state le stesse persone che hanno partorito l'ultima riforma del lavoro, che sta producendo i primi danni.
Danni collaterali o volutamente ignorati? La riforma doveva creare meno burocrazia, meno disparità tra precari e tutelati, più flessibilità nel mercato del lavoro e più posti di lavoro; tutte ottime intenzione, ma, come dice il proverbio, "la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni". Possiamo, quindi, affermare, senza paura di essere smentiti, che, per ora, la riforma epocale ha miseramente fallito, sotto tutti i punti di vista. Non che ci volesse un genio a capirlo: eliminato l'Articolo 18, l'unico tipo di licenziamento impugnabile è quello discriminatorio, facilmente aggirabile. Vediamo come, non con le ipotesi, ma con i fatti: nella provincia di Milano, la catena di fast food McDonald's ha deciso, infatti, di mettere in mobilità (che nel 90% dei casi è l'anticamera del licenziamento) un centinaio circa di dipendenti. Dunque la tremenda crisi ha colpito anche il Big Mac? Non proprio, pare: nel secondo trimestre del 2012, infatti, gli utili sono calati (-4,5%), ma i ricavi sono rimasti stabili e le vendite sono cresciute meno del previsto (+3,7%). Insomma, si è sì guadagnato, ma meno del previsto, un intoppo momentaneo che l'azienda spaccia per crisi. Ma in fondo, cos'è una crisi? E' quando l'impresa è sull'orlo del fallimento o basta solo che incassi anche un solo euro in meno, rispetto al giorno prima?
Questo, ovviamente, la nuova legge non lo specifica, di conseguenza è lasciato tutto al libero arbitrio dell'imprenditore che, come in questo caso, può trovare una scusa per liberarsi dei lavoratori con i contratti più onerosi e sostituirli con nuovi dipendenti con contratti precari (tutti i lavoratori messi in mobilità, infatti, hanno contratti indeterminati, maggiore anzianità di servizio e orari di lavoro più lunghi, ergo hanno gli stipendi più pesanti). I sindacati, ovviamente, si oppongono, ma basterà? Quest'esempio spiega quali sono e saranno gli effetti della riforma: più precari e meno tutelati, lavoratori con più anzianità a rischio (perchè hanno ancora i contratti migliori); la flessibilità tanto decantata si è già trasformata in precarietà, sostenuta da burocrazia (abbiamo ancora decine di tipologie di contratti, altro che semplificare) e assenza di diritti (come difendersi, se l'Articolo 18, unica arma decente in mano ai lavoratori, è stato abrogato?).
Visti i risultati, se l'obiettivo era salvare il Paese, rilanciare l'economia e migliorare il mondo del lavoro italiano, i responsabili non hanno capito niente. Se l'obiettivo, invece, era farci fare la fine dei semischiavi cinesi, allora hanno capito tutto. La strada è quella.