Esso è perenne tortura, che mi sussurra la sua superiorità e nella mia più profonda e primitiva memoria, ha smosso sfocate immagini di tempi privi della sua tirannia, momenti di contemplazione e di gesti misurati solo da antiche albe e tramonti, dell'infinito percorso dell'infuocato carro del sole.
Ma come un infestante parassita egli si attorciglia al mio corpo etereo crocifiggendolo, nel tentativo di alimentare l'angoscia, la sua fedele arpia, sozzo strumento della mia cosciente consapevolezza delle sue razzie.
Non ho mai portato l'orologio, sul mio polso esso è una camicia di pece, l'insostenibile peso che piega la mia testa alla sua schiavitù. Hanno tentato invano in famiglia, mascherando il suo velenoso ticchettio dietro la lusinga di un'apparente bellezza ornamentale, ma non ho mai ceduto i polsi ai ceppi di quelle manette.
Le ore scorrono precise nel mio corpo come linfa vitale, senza bisogno di nulla. Di ogni giorno conosco l'ora esatta e i minuti, siano giorni di sole o di nera pioggia. Non sono mai arrivata in ritardo ad un appuntamento, e non ho mai avuto bisogno della sveglia perchè i miei occhi si aprono esattamente all'ora in cui devono aprirsi, nè un minuto prima nè un minuto dopo.
E' la mia lotta intestina contro gli strali del tempo, contro le sue soffocanti spire infinite, una lotta la mia, che si perde nei nebbiosi, quasi ignoti percorsi di antiche, strane vite, di tanto tempo fa.