Senza braccia, né mani, né gambe, neanche un piede per avvicinarmi o scappare.
Senza dita per farti cenno d’avvicinarti, che anche la vista se ne sta andando.
Sono tutta memoria, quella che ho capito e quella che non so raccontare, indigesta o un boccone troppo grande da poter mandare giù così su due piedi, quando ancora avevo i piedi.
Non ho colpa. Non si commette errore restandosene fermi e zitti, a pensare di morderti ma non avere neanche un dente per portare a termine il proposito.
Sono tutta rotta, non c’è una sola parte di me che non sia crollata. Per arrivare all’appuntamento, faccio il giro del palazzo con i miei pezzi dentro a un sacchetto della spesa. E anche la forza mi ha lasciata in quest’ultimo anno di urla da niente, per quel letto senza comodini e l’inutile agitarsi di braccia per nascondere fumo sotto al tappeto.
Mi siedo in ritardo al nostro tavolo, ti guardo da due pupille d’acquario svuotato e mi dico che sarebbe bellissimo se fossi ancora intera, per te. Senza graffi, con le unghie sane, i capelli neri, le frasi nuove.
Ti chiederei di sederti più vicino, di aspettare mentre si scioglie questo dolore annodato, senza far cenno ancora una volta a sbagli e sbadigli, ma lasciarti guardare i miei occhi mentre mi ricrescono le ciglia.
Questa notte saprei parlare, se avessi ancora voce.
Ti allontani d’un passo e io sento la fionda staccare il sasso.
Ho perso anche i riflessi e non ti chiedo di fermarti, di ordinare un altro bicchiere di vino e darmi il tempo per scaldare coraggio. Ho la volontà incastrata nella gola, se ti dico resta poi tu devi restare o dovrò buttare via un’altra parola e me ne restano così poche.
Resto muta e studio con la lingua le ferite brevi.
‘Facciamo l’amore stasera’ dici dall’altra parte di una frase allegra. La tua voce è diversa dalla mia: accorda l’attesa e mentre ti bacio riesco a pensare solo a ora.
Il mio ‘sì’ è sottile, non riesco a sentirlo. Arriva da lontano, dal ricordo di me che specchia il tuo minuto e mi decide.
Tu mi senti.
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