A Edith Piaf
I poeti muoiono, perché i poeti sono esseri umani, e, come tali, soggetti alla morte.
Sono soggetti alla morte come lo sono alle umane debolezze.
I poeti amano, odiano e bramano, come odia, brama e ama ogni essere umano.
I poeti sono esseri che consumano la loro vita nel tran tran quotidiano, s’arrovellano come sbarcare il lunario ogni giorno, si preoccupano del domani perché sono degli esseri umani che vivono e piangono come qualunque essere umano.
I poeti sono vanitosi come tutti gli esseri umani. Ai poeti piace ricevere riconoscimenti perché le carezze fanno bene alla loro esistenza. Lo aiutano a sopportare meglio le privazioni della vita.
Negare l’evidenza di questi semplici fatti, magari credendo di fare un favore al poeta, significa negare alle radici l’essenza stessa della poesia, perché la poesia è vita strappata con forza alla morte, a quella morte davanti al cui cospetto i poeti devono soccombere come ogni essere umano.
Non i poeti, dunque, ma le loro poesie non muoiono, perché sono vane creature che vivono nell’etere, leggere e trasparenti come l’aria che respiriamo.
La poesia non muore perché la poesia non ha corpo, non ha gambe per camminare, ma ha soltanto un cuore da far pulsare, un’emozione da far sgorgare, un brivido da far sentire.
E le emozioni non muoiono come i poeti, quantunque i poeti devono morire mille volte per creare una sola emozione.