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Questa settimana era la festa del papà in Francia. Ho avuto il mio primo regalo, il primo cartoncino di auguri, da una figlia che ormai quasi manco più ci pensavo. Quando Chloé è nata avevo in mente una canzone che tanti anni fa avrei voluto cantare a mia figlia, una che con un passo lento da bolero raccontava di vecchi che sapevano tutta la verità e che vendevano carte e numeri. E madri che erano state dure da raggiungere. Mi piaceva quando diceva
però, penso di aver fatto del mio meglio così, a volte guardo se ti rassomiglio
A quei tempi mi piacevano versi come "Allora saprai che porti il nome di un mio amico / Di uno dei pochi che non mi hanno mai tradito / Perché sei nata il giorno / Che a lui moriva un sogno". Versi che sapevano di manifestazioni, di lotta e di malinconia. Allora mi sembrava di riconoscere i miei valori immutabili quando il professor Vecchioni diceva: "Se arrivo vuol dire che a qualcuno può servire / Se questo, lo dovessi mai fare / Tu, questo, non me lo perdonare". Adesso che invece sono arrivato - ora che vado lontano anche se per altre ragioni da quelle della canzone e che di Vecchioni è rimasto solo un professore di lettere delle superiori in pensione, di quelli che averceli come condomini sono tra i peggiori - mi resta solo il ricordo di una bella frase a effetto come "Vorranno / La foto col sorriso deficiente" e l'emozione di capire profondamente cosa significhi scrivere:
e figlia, figliafiglia sei bella come il sole, come la terra, come la rabbia, come il pane, e so che t'innamorerai senza pensare, e scusa, scusa se ci vedremo poco e male: lontano mi porta il sogno ho un fiore qui dentro il pugno.
Un giorno gliela abbiamo fatta sentire. A Chloé. Dopo Father and Son: il pezzo più abusato di quello che una volta si faceva chiamare Cat Stevens. Lei - che è una bimba delle stelle e tutto può capire - le ha ascoltate entrambe con attenzione poi ci ha guardati con quel suo sguardo da piccolo Buddha che sa già tutto e ho capito distintamente che le conosceva già entrambe da una qualsiasi delle sue vite precedenti. Secondo me ha preferito la seconda, ma era evidente che non andava ancora bene.
***
(pausa)
***
Qualche giorno fa ho trovato questa canzone del Giorgio Gaber.
Non insegnate ai bambini Non indicate per loroUna via conosciutaMa se proprio voleteInsegnate soltanto la magia della vita.
Questa non la conoscevi, piccola Chloé. E' un pezzo che viene dai suoi anni duemila cupi e finali, anni di quando le idee e gli ideali erano tramontati. Lui la canta triste con quella voce incastrata, come se avesse la lingua gonfia di chissà quale intolleranza alimentare. Non che avesse mai cantato, ma ormai a quel punto più che cantare recitava, impastava. Secondo me lo faceva inconsapevolmente, somatizzava perché era ormai troppo indispettito per quella storia degli ideali finiti. Sotto, lui ci sapeva mettere solo un arrangiamento scarno, un arpeggio comune di una comune chitarra classica. O forse aveva scritto il testo non gli interessava spenderci di più. E sicuramente per farci rabbia, per mania autodistruttiva, ci aggiungeva qualche strumento principe della noia come un po' di oboe o di clarino. Il testo che ci appoggiava come su un tavolino tondo di quei bar delle stazioni dove ci bevi un caffé in piedi parlava parole comuniste che venivano dal passato, citava termini obsoleti come "lasciare in balia di una falsa coscienza", "elogiare il pensiero" oppurea "divulgare illusioni sociali".
Ma ce n'è in giro anche una versione di quel pazzo di Marco Castoldi, in arte Morgan. Uno che se non fa una brutta fine prima, allora diventerà almeno come Alberto Camerini, altro fratello maggiore milanese dei miei tempi andati, uno che pure dovrebbe essere ormai in pensione, un genietto probabilmente da tempo partito con la testa, uno talmente dentro se' stesso che anni fa mi dissero non riuscisse già più a pronunciare "secondo me" perché non gli andava proprio di mettersi per secondo. Allora, il Morgan è lì che lo vedi a mezza via tra un Mozart e il Cappellaio Matto a picchiettare sull'i-pad variazioni di una base elettronica, a digitare progressioni strane sul suo pianoforte. Ci porta dentro i violoncelli, quei rimbombi di bassi profondi che mi piacciono tanto (perché è il basso alla base di tutto, il basso è la base del mondo, forse dell'universo intero, il big bang deve essere stato una fortissima e profondissima nota di basso). Ci aggiunge pure il suono dolce di uno shamizen, quella specie di liuto o di xilofono giapponese e sotto nasconde quasi (ma la lascia appena udibile, anzi visibile, come un indizio che chiaramente ci svela che lui è il colpevole) una melodia secondaria di una tastierina a fiato che suona quasi come quelle Casio degli anni novanta. Sopra, si auto-doppia in una voce sempre più roca che urla in crescendo e mi ricorda un Luca Pagliari che fa notare con arroganza spocchiosa e gentile come "Non insegnate ai bambini" sarà anche un testo superato in diversi passaggi ma verso il fondo, dice anche
Non insegnate ai bambiniMa coltivate voi stessi, il cuore e la menteStategli sempre viciniDate fiducia all'amore, il resto è niente.
***
(finale)
***
Voci di bambini."Che bella!""Dai, Apriamo quella rosa!""OK!"
Giro giro tondo, cambia il mondo.
Grazie Giorgio Gaber.E grazie anche Morgan.E grazie anche Luca Pagliari.
Ti vorrò sempre bene Chloé.
Nota per i musicanti e per gli interessati. Le tre canzoni citate sono:"Figlia" di Roberto Vecchioni, "Father and Son" di Cat Stevens, "Non insegnate ai bambini" di Giorgio GaberIl resto è roba mia.
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