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Non mi piacciono i "graphic novels"

Creato il 01 agosto 2010 da Chemako @chemako71
Non mi piacciono i
Beh, no! Non è che non mi piacciono, non mi piace il termine "graphic novel". Prendo lo spunto da un articolo di Benedetta Tobagi apparso ieri, 31 luglio, sulle pagine del quotidiano La Repubblica. La parte del giornale R2, dedicata a cultura e spettacoli, riservava l'apertura, nel complesso ben 3 pagine, al tema Scrivere disegnando. Oltre all'articolo citato, anche un bel pezzo di Gipi che racconta come nacque in lui, ancora ragazzino, l'impulso di disegnare per raccontare delle storie.
Mi fa sempre molto piacere quando un grande mezzo di comunicazione dedica uno spazio importante al fumetto, anche se qui il taglio dato non è, secondo me, corretto. Infatti viene creata una contrapposizione tra fumetto e graphic novel, come se si trattasse di due cose diverse. La definizione che si dà al graphic novel, mutuandola da Goffredo Fofi, non è assoluta, ma è sempre posta in relazione al fumetto. Si comincia a dire che il graphic novel è “pensato per un pubblico adulto ed esigente” e si continua affermando che “si distingue dal fumetto perché non è seriale, non ha limiti di lunghezza né vincoli di forma, esibisce una complessità narrativa e una profondità psicologica sconosciute ai comics e trova posto in libreria anziché in edicola. Nel graphic novel parola e immagine si fondono in un corpo unico che ha una cifra letteraria”. Dopo la lettura di queste poche frasi, il sangue mi si era ghiacciato nelle vene.... Ma continuo, perché voglio vedere dove si va a parare. Il pezzo prosegue citando delle opere e degli autori che servono a corroborare la tesi di fondo, ovvero l'alta nobiltà dei graphic novels contrapposta al basso lignaggio dei volgari fumetti...

Si nominano dei veri e propri capolavori indiscussi, V for Vendetta e Sin City, Fuochi e Il ritorno del cavaliere oscuro, Al tempo di Bocchan e Maus, Le starordinarie avventure di Pentothal e Persepolis, per dimostrare come i generi e gli stili più disparati vengano affrontati: dal filone fantastico di Moebius al realismo di Munoz e Sampayo, dalla biografia del Che di Oesterheld e Breccia al memoir storico di Spiegelman, dal giornalismo di Sacco alla denuncia politico-sociale di Elfo. Questa è la parte migliore dell'articolo perché l'autrice dà una sintetica ma valida panoramica (tralasciando però di citare almeno un'opera di Will Eisner) dei temi affrontati, facendo sorgere ad un lettore profano l'idea che i fumetti possono parlare di tutto, e farlo con alta qualità di disegni e parole. Alla fine dell'articolo si argomenta sulle difficoltà di penetrazione nel mercato di un medium come il fumetto che patisce la concorrenza di altri media basati sull'immagine. Il colpo però arriva nell'ultimo capoverso, dove si confessa in realtà che “l'introduzione stessa della dicitura graphic novel negli ultimi anni obbedisce a logiche commerciali, nella speranza di replicare i successi all'estero..”.
Non mi piacciono i
Ma allora è tutto una farsa? Tutta la base artistica e la citazione delle opere per validare la tesi che il graphic novel è un genere a se stante, cade alla fine con un'ammissione di carattere puramente commerciale? Ma come? E la complessità narrativa e l'approfondimento psicologico? E la cifra letteraria? E l'aristocratica libreria anziché la plebea edicola? Il re è nudo... Forse all'autrice è venuto in mente qualche fumetto seriale d'edicola che un po' di qualità l'aveva... Che ne so, un certo Ken Parker per esempio? Vogliamo parlare della modernità che questa serie segnò negli anni 70 all'interno della casa editrice Bonelli e nell'intero mondo del fumetto italiano: temi quali i diritti dei lavoratori, l'omosessualità, ma senza toccare niente di particolare per forza, semplicemente con la profondità del personaggio e della sua avventura di vita raccontata in modo poetico e fine da Giancarlo Berardi e disegnata da uno dei maestri italiani, Ivo Milazzo.

Cito solo Ken Parker, ma sono diversi gli esempi di alto valore artistico raggiunto da fumetti seriali. Non mi piacciono le distinzioni intellettualistiche tra comics e graphic novel: si tratta sempre di fumetto, ovvero di un linguaggio espressivo che si presta ad un'infinità di stili e temi, proprio come il cinema e la letteratura. Poi esiste il fumetto di qualità e quello scarso, ma non coincidono affatto rispettivamente con graphic novel e comics seriali. Anzi, ho letto delle graphic novel oscene e dei giornalini seriali stupendi. Parliamo di fumetto e basta, di questo alla fine si tratta.

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