Non resteranno mai in mutande...

Creato il 10 settembre 2010 da Mariellacaruso

Oggetti come il pallone, i pali e la rete delle porte, le bandierine del calcio d’angolo. Così si sentono trattati i calciatori di Serie A dai loro datori di lavoro, ovvero dai presidenti delle società. Quelli, beninteso, che prima li ricoprono di soldi e promesse e poi, una volta usati o quando vogliono disfarsene perché non rientrano più nel progetto tecnico, decidono di farli allenare a parte e si arrabbiano se rifiutano un trasferimento in un’altra società a parità di condizioni. E allora ecco fare capolino lo sciopero, arma sindacale (ancora per quanto?) riconosciuta nello statuto dei lavoratori alla quale possono fare ricorso anche i calciatori che sono dei (milionari) lavoratori subordinati. In realtà lo sciopero i calciatori l’hanno fatto soltanto una volta, il 16 e 17 marzo 1996, quindi dovessero incrociare le braccia (pardon i piedi) sarebbe la seconda volta nella vita della loro categoria professionale. Decisamente meno di altre vituperate categorie per le quali, alla minaccia di sciopero, non si solleva l’opinione pubblica ma più che altro il ministro competente quando può firmare la precettazione. Recentemente poi lo sciopero e gli accordi di categoria sembrano non fare più notizia: Federmeccanica ha disdettato quello dei metalmeccanici dopo il rifiuto della Fiom ad accettare le condizioni peggiorative che la Fiat sta imponendo nello stabilimento di Pomigliano.
Certo mescolare capre e cavoli, anzi capre e hircus (la pecora dal cui pelo si ricava il cashmere), non è appropriato. Ma Massimo Oddo, eletto a portavoce dei giocatori di Serie A in occasione della conferenza stampa che annunciava lo sciopero, l’ha fatto quando è stato fatto notare che la crisi incombe. «Noi siamo lavoratori come gli altri – ha sottolineato il giocatore -. Abbiamo la fortuna di fare un lavoro che ci piace e che è ben retribuito e siamo parte integrante dell’Italia che produce».
«Questo sciopero non è una minaccia ma una presa di posizione. Siamo stufi di essere trattati come oggetti– ha precisato Massimo Oddo davanti ai colleghi Rino Gattuso, Clarence Seedorf, Javier Zanetti, Ivan Cordoba, Paolo Orlandoni e Daniele Mannini -. Qua si tratta di diritti umani oltre che di diritti di lavoro». I diritti umani cui fa riferimento Oddo sono il mobbing attuato facendo allenare a parte un giocatore che sta bene, i trasferimenti coatti in altre società, la scelta del medico sulla quale i calciatori non potrebbero più intervenire, il divieto di svolgere altri attività seppur non incompatibili con quelle di calciatore.
Premesso che sindacalmente parteggio per i lavoratori anche se parlare di diritti umani e di giocatori oggetto mi sembra una situazione da film grottesco mi piacerebbe se, nel più che remoto caso che questo sciopero si concretizzi davvero, tutti insieme – giocatori e presidenti (altra categoria piuttosto contraddittoria: mica glielo ha ordinato qualcuno di mantenere una società di calcio. Quindi se decidono di farlo mi pare assurdo lamentarsi) che non resteranno mai in mutande – trascorressero una giornata in fabbrica a lavorare, tra i precari della scuola a digiunare o magari pure indossando i panni dei giornalisti precari, freelance o chi più ne ha più ne metta, che devono cercare di mandare avanti la famiglia e magari trovano pure i soldi per comprare il biglietto dello stadio o fare l’abbonamento alla pay tv per vederli tirare calci ad un pallone.

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