Non sono i suoi quasi 80 anni, né le sue quattro legislature parlamentari e neppure le sue sfiancanti prediche sulle colonne di Repubblica, dove da anni non fa che arrovellarsi sul presunto «disagio esistenziale» delle coppie omosessuali che «non possono ricorrere al matrimonio» (La Repubblica, 7/6/2006) e sulla presuntissima legittimità di «adozioni da parte di gay» (La Repubblica, 10/7/2006), i più urgenti problemi dell’Italia insomma.
Non è nemmeno la sua idea di abrogare l’obiezione di coscienza prevista dalla pur pessima Legge 194, obiezione di coscienza che a suo dire «non è più ragionevole» (La Repubblica, 3/12/2011). Di Stefano Rodotà non convince il personaggio Stefano Rodotà, la sua arietta accademica e saputella, tipica di chi ha studiato per una vita senza capirci in realtà granché; la sua superiorità ostentatissima quando i suoi occhi si fanno piccoli, inarca le sopracciglia e lentamente pontifica.
Cos’abbia poi da pontificare uno che tifa per l’aborto procurato, l’eutanasia e le adozioni gay, è un vero mistero. Perché se perdi di vista la dignità dell’uomo, se non vedi nel bambino non ancora nato il bambino che sei stato, puoi insegnare in tutte le più quotate università del mondo, ma rimani molto indietro. Puoi essere culturalmente gigantesco, ma resti umanamente semianalfabeta. Puoi anche essere eletto al Quirinale, ma rimani solo un sosia di Rodotà.