Non sa più ridere l’angoscia
e non si scuote
per soffio geroglifico
l’anima rattrappita
dall’inerzia.
Parola che non ha voce bastante
ad invocare il verbo,
fosse pure l’essere
sconfitto dalle troppe fatiche,
dagli stenti dell’autentico,
nel labirinto
sinistramente illuminato
da sovrastrutture mascherate
da istinto.
Parola deflagrata, in ogni dove
brandelli di parola, olocausti di parole
nell’estetizzazione del commercio, parola politica,
calcistica, papale e papale papale,
parola fiume, in corrente impazzita
per indecidibile direzione,
per partito presa.
Ma non è
in nessun l(u)ogo
poesia,
non nel luccichio di stile
che distingue, nella miseria
della rappresentazione,
la boria dell’illuso dalla mesta
rassegnazione.