I. Montanelli
L'inchiesta sulla P4 si allarga e diventa, purtroppo, ogni giorno più interessante. La figura di Bisignani, per gli amici Gigi, assurge a fulcro dell'intera vita istituzionale italiana. Come una piovra, i suoi tentacoli toccano ministri, esponenti politici di spicco, aziende statali, magistratura. Le intercettazioni restituiscono un quadro che ha dell'incredibile (o no).Oltre a Letta, la cui pluriennale qualifica di factotum sta trasformandosi in quella di maninpastorum, la rubrica telefonica di quest'uomo comprende personaggi di tutti i livelli, dalla Prestigiacomo, terrorizzata all'idea che le loro conversazioni diventino di dominio pubblico, alla Biancofiore, a quanto pare importante ingranaggio della macchina del fango. Bisignani si profila sullo sfondo di moltissime fra le principali attività del governo, a cominciare dal controllo dei mezzi di comunicazione e in particolare della RAI. C'è la sua regia occulta dietro i tentativi di allontanamento di Santoro, ma è l'intero palinsesto delle reti pubbliche a essere influenzato dalle macchinazioni dell'uomo al centro dello scandalo.
Quello che stupirebbe, se non fossimo mitridatizzati da anni di ignominie politiche e non, è che non è il potere politico a attirare a sé le manovre occulte di personaggi in cerca di tornaconti personali, ma l'inverso: sono le figure chiave della classe dirigente a rivolgersi a un uomo ufficialmente in secondo piano affinché muova i necessari pezzi sulla scacchiera. Perfino personaggi di terz'ordine come Papa millantano rapporti con Bisignani per acqusire credito. E mentre il centro-destra viene immortalato con le mani nella marmellata, fra i nomi associati all'indagine c'è anche quello di una figura di primo livello dell'opposizione. Naturalmente, parlando di trame nell'ombra, non può che trattarsi di Massimo D'Alema. Benché per il momento non possa essere accusato, è sconsolante notare come il centro-sinistra non sia ancora riuscito a liberarsi dalla cultura delle mani in pasta. C'è da scommettere che il coinvolgimento di D'Alema nella faccenda sarà una carta che il centro-destra giocherà per difendersi nel momento in cui si troverà con le spalle al muro, secondo la solita strategia per cui "siamo innocenti perché sono colpevoli anche gli altri".
Che l'etica pubblica sia cambiata negli anni del berlusconismo non lo si scopre oggi, ma leggere i commenti degli house organs della maggioranza rende l'idea del disfacimento morale in cui si tenta di trascinare il paese. Belpietro scrive: "Bisignani è un uomo dalle molte conoscenze. Le coltivava con passione autentica, dimostrandosi amico di tutti, e grazie a queste sue entrature poi cercava di far passare ciò che gli interessava. Una nomina, un contratto, un incontro. A volte era lui l’artefice dell’operazione. Altre volte, essendo a conoscenza della notizia, giocava d’anticipo e se ne appropriava attribuendosene il merito. È reato tutto ciò? È una violazione da codice penale stare sempre in mezzo a quelli che contano e cercare di indirizzarne le decisioni? Non penso. [...] Così va il mondo". Così va il mondo. Peggio per chi si indigna. Una volta si scriveva "scemo chi legge". Non contento, continua con una bella rivisitazione storica: poiché il caso Bisignani è stato ribattezzato P4, per via dei legami nascosti fra i vari settori del paese, Belpietro sfodera un portentoso "embè". In fondo la P2 non era niente di che, solo un allegro gruppetto di amici che parlottavano fra loro e scambiavano due chiacchiere con chi era a tiro. Fuffa allora e fuffa adesso. In fondo, chi ha più titoli di Belpietro per parlare di fuffa? Alzi la mano chi ha subito un finto attentato. Per Vittorio Feltri il fatto che l'inchiesta coinvolga il PdL e getti ulteriore fango sulla politica del suo padrone è la prova che l'intera vicenda sia il classico complotto. Berlusconi e la sua corte sono sempre e comunque puliti e chi dice il contrario è bugiardo. Punto. Sallusti usa argomenti all'apparenza diversi ma ugualmente risibili: poiché la cortina di intrallazzi è talmente estesa da coinvolgere "mezza Italia", allora non è possibile tout court. Se fossero accusati solo uno o due politici, parlerebbero di attacco mirato studiato a tavolino. Insomma, non è vero a prescindere. Tanto per gradire, il cosiddetto giornalista condisce il tutto con la solita rampogna nei confronti delle intercettazioni, per finire con l'ormai stancante tesi del golpe giudiziario. Poiché nessuno dei politici i cui nomi sono emersi è indagato, la cosa migliore da fare è stendere un bel velo di silenzio. Ai cittadini non deve interessare se chi ha in mano il loro futuro è influenzato, nel migliore dei casi, da qualcuno che tiene in mano i fili del paese. I colpevoli sono, comunque, i giudici che indagano. "Il messaggio della magistratura è chiaro: qui comandiamo noi, noi decidiamo chi fermare e chi no" scrive Sallusti. Personalmente la penso esattamente come lui e me ne rallegro. Finché saranno i giudici e non quelli che gli pagano il salario e a cui lui lustra le scarpe ad avere in mano il potere giudiziario e a fermare i delinquenti, in Italia ci sarà ancora speranza.