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Esistono parole che incontrano lo strano destino di monopolizzare e caratterizzare, per periodi più o meno lunghi, l'informazione e il dibattito politico. Da oltre un anno non si parla che di spread, la differenza tra i tassi di interesse pagati da due diversi debitori (nel caso specifico lo spread a cui ci si riferisce normalmente è la differenza tra i tassi di interesse a carico rispettivamente dello Stato italiano e di quello tedesco per ottenere soldi in prestito sui mercati finanziari). Se per diversi anni dall'adozione dall'Euro l'Italia ha potuto godere di bassi tassi di interesse dovuti proprio alla reputazione della moneta unica (nel 2008 alla fine della gestione Prodi – Padoa Schioppa lo spread era a 37 punti), negli ultimi tempi a causa della speculazione internazionale la forbice tra i tassi di interesse richiesti al nostro Paese (e agli altri PIIGS) e quello tedesco si è andata via via allargandosi, con la conseguenza di aumentare a dismisura la spesa statale per gli interessi e mettendo addirittura a repentaglio la nostra capacità di continuare ad ottenere credito dagli investitori. E' a causa dello spread che Berlusconi è stato costretto a dimettersi, è per lo spread che Monti è stato nominato alla guida del Governo (da Napolitano, Obama, la Merkel, le grandi istituzioni finanziarie internazionali, i miseri partiti italiani quali PD, PDL e UDC). E' per lo spread che abbiamo fatto i 'compiti a casa': le controriforme sulle pensioni, sul lavoro, l'aumento delle tasse sui ceti medio-bassi e si pianificano ulteriori tagli ai servizi sociali. L'effetto – inevitabile e previsto – è la recessione, l'aumento della disoccupazione e la diminuzione dei consumi interni. E se Squinzi, presidente di Confindustria, arriva a parlare, magari senza rendersene conto, di macelleria sociale è perché il primo interesse degli imprenditori è di produrre e vendere e se non c'è in giro disponibilità di redditi e per di più i potenziali consumatori sono paralizzati dalla paura (di perdere il lavoro per la riforma Fornero, di non poter andare in pensione, di non avere più credito delle banche) è inevitabile che la crisi si avviti su stessa.
Dopo otto mesi di governo Monti (l'uomo che sussurrava ai mercati, colui che come Mario Balotelli ha spezzato le reni alla Germania ), dopo l'iniziale discesa dai livelli berlusconiani (dovuta al massiccio afflusso di denaro ad opera dalla BCE di Draghi), lo spread si mantiene stabilmente oltre i 400 punti (cioè se la Germania paga il 2 per cento di interesse sui titoli di Stato, l'Italia il 6 per cento e oltre) con picchi vicini ai 500, cioè a quello che è stato identificato come il delimitare del baratro. Dunque visto che il compito di Monti era quello di livellare lo spread con la Germania ora dovrebbe dimettersi perché ha fallito nel suo incarico e con lui dovrebbero farsi da parte i suoi sponsor, Bersani in primis. Le scuse e gli alibi addotti dal responsabile dell'Esecutivo appaiono d'altronde miseri e meschini: c'è chi come Squinzi con le sue dichiarazioni fa alzare lo spread, i mercati apprezzano le sue riforme ma temono lo scenario del dopo elezioni. Forse non si rende conto il pover'uomo della gravità e del disprezzo della democrazia insito nelle sue affermazioni: se l'unica legge cogente è quella dei mercati per quali motivi perdiamo tempo e soldi con le elezioni e i partiti, facciamo votare direttamente le Borse! Alla crescita promessa da Monti, quella da realizzarsi attraverso l'impoverimento della società italiana che consenta l'afflusso di capitali stranieri e lo shopping degli assets nostrani ed una ripresa della competitività delle merci italiane grazie alla cinesizzazione (meno diritti e meno salari per i lavoratori) delle nostre imprese, non crede nessuno, nemmeno il presidente degli industriali. Uno scenario che si realizzerebbe non si sa fra quanto, che comporta il sacrificio di intere generazioni e che in ogni caso – dal punto di vista della giustizia sociale e dei valori espressi nella nostra Costituzione - non appare affatto auspicabile. In realtà ormai lo sanno anche i muri che l'austerità aggrava la crisi e rende ancora più utopico riuscire a far fronte al debito. Le politiche di Monti (e quelle dell'Europa della finanza speculativa) sono vecchie e sbagliate, espressione di un'ortodossa ideologia capitalistica. Lo spread è certo un indicatore importante della salute di un'economia, e non cala perché la Germania si è fin qui opposta all'unica azione risolutiva dei problemi dell'euro quale rendere la BCE prestatore di ultima istanza e garante del debito dei vari Stati che vi aderiscono, ma diventa l'unico parametro di riferimento solo nella logica del 'non c'è alternativa al liberismo' come pontificava la signora Thatcher. L'interesse generale, il bene comune, la giustizia e la coesione sociale sono altre cose e richiederebbero di guardare l'economia da un altro angolo visuale: se i mercati e la finanza speculativa impongono agli Stati europei e all'Italia per potersi finanziare di rinunciare ai propri valori fondanti, la democrazia e lo Stato sociale, bisogna metterli in condizione di non nuocere e non tranquillizzarli ed occorre trovare diverse e più eque forme per fronteggiare il problema del debito e del fabbisogno di risorse monetarie dello Stato per consentire di preservare la vita e la civiltà dei popoli. Sono state formulate tante proposte al riguardo – forme di garanzie in ambito europeo del debito, l'imposta patrimoniale, un piano per l'occupazione e lo sviluppo fondato su piccole opere ecologicamente compatibili, l'audit del debito per ripudiarne quella parte che sarebbe iniquo continuare ad accollare alla collettività, il consolidamento forzoso, una vera revisione e riqualificazione della spesa pubblica che tagli le spese inutili e parassitarie a favore degli impieghi di utilità sociale e collettiva, l'equilibrata idea di Grillo di fermarsi prima di distruggere definitivamente l'Italia e di ragionare su quali siano le soluzioni possibili – ma qui siamo ancora drammaticamente fermi solo alla dittatura dello spread.
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