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Non smetterà mai di stupirmi la tendenza a minimizzare, soprattutto da parte di spiriti laici e progressisti, il pericolo islamico e le sue tendenze intrinsecamente liberticide, dal blog di Cadavrexquis, 2009

Creato il 13 febbraio 2016 da Paolo Ferrario @PFerrario

di Cadavrexquis

Non smetterà mai di stupirmi la tendenza a minimizzare, soprattutto da parte di spiriti laici e progressisti, il pericolo islamico e le sue tendenze intrinsecamente liberticide. Mi spiace, ma io non mi fido della parola di quella parte di musulmani che sostengono che l’Islam sarebbe la “religione della pace” e che il fondamentalismo islamico non sarebbe il “vero islam”. Non mi fido, ma soprattutto non mi basta una giustificazione del genere, considerando che a noi laici (e, spesso, agnostici o atei come nel mio caso) non interessa l’ “essenza reale” di una religione – una religione è sempre una spiegazione mitica e a-razionale del mondo -, ma interessa che non causi danni ai non credenti, che non imponga i suoi miti, i suoi riti, i suoi dogmi e le sue prescrizioni a chi non crede e che quindi non limiti la libertà altrui di rifiutare quella stessa religione. Se scattiamo come molle ogni volta che una religione s’intromette nelle faccende private di ognuno di noi, a maggior ragione dovremmo farlo per una religione come l’Islam che dei tre monoteismi è il più feroce e il più stupido, forse anche a causa della sua relativa giovinezza. Intendiamoci: tutte le religioni che si vogliono assolute sono pericolose, ma almeno negli altri casi c’è ancora qualcosa che le frena e ne limita i danni. Vogliamo chiamare questo qualcosa “democrazia”, “separazione tra stato e chiesa”, “libertà individuale”, “diritto al dissenso”? Nell’Islam, questa cosa solitamente non c’è. Al contrario, c’è una forte tendenza al proselitismo: del resto, è o non è vero che per l’Islam tutti gli esseri umani sono stati creati musulmani da Allah e che quindi convertire chi oggi non è musulmano altro non significa che riportarlo alla sua vera natura? E’ o non è vero che è praticamente impossibile trovare uno stato musulmano in cui le leggi non siano più o meno influenzate dalla sharia? E’ o non è vero che questo è il modello a cui tende l’Islam: introdurre sempre più elementi di sharia nello stato? Qualcuno magari dirà che sto buttando benzina sul fuoco, ma per una proporzionalità delle reazioni se i laici reagiscono con furia alle intromissioni delle gerarchie cattoliche – per ora solo verbali, anche se prontamente accolte dai nostri politici – nella vita civile sarebbe opportuno che reagissero con furia ancora maggiore contro le pretese degli islamisti. E non mi si venga a dire che, tutto sommato, se non lo si fa è perché loro sono ancora una minoranza. Per opporci a determinate tendenze già in atto dovremmo dunque aspettare che conquistino la maggioranza? Dopo quanti quartieri di grandi città islamizzati potremo cominciare a protestare? Dopo quale percentuale di donne completamente velate potremo dire che forse non va bene così? Le avvisaglie ci sono già tutte ora, forse è il caso di non minimizzare e prendere qualche misura. O forse bisognava prenderle già da un po’.

Una decina di giorni fa è apparso sul Daily Telegraph un articolo che svela il segreto di Pulcinella: entro il 2050 in Europa i musulmani non saranno più una minoranza tanto irrisoria. A causa dell’aumento dell’immigrazione dai paesi islamici e ai tassi di crescita demografica più elevati dei cittadini musulmani la tendenza è già in corso. Del resto, già oggi ci sono delle enclave in Europa dove tutto questo è immediatamente visibile: andate a Birmingham e contate le donne non soltanto velate, ma con un vero e proprio niqab addosso. A quando il burqa – che magari accetteremo in nome di un malinteso multiculturalismo? L’interessante articolo del Daily Telegraph è stato poi ripreso qualche giorno dopo dal Corriere della Sera, che ha aggiunto altri dettagli, smorzando un po’ i toni. Nei giorni successivi è stato poi pubblicato un commento in cui si diceva, in sostanza, che non è detto che il tasso demografico resti costantemente così alto e che anzi tende a diminuire. Poi – più un pio desiderio che una registrazione della realtà – chi nasce e cresce in un paese occidentale ne “assorbe” a poco a poco i valori e, di conseguenza, anche un salutare scetticismo nei confronti della religione. Mi auguro che sia vero, ma se la situazione è invece quella descritta dal Daily Telegraph, io spero sinceramente di essere già morto nel 2050.

Fatto sta, però, che negli ultimi tempi mi sta cadendo un po’ troppo l’occhio su notizie preoccupanti. Notizie che non fanno pensare a una evoluzione dell’Islam in senso democratico. Fuori dall’Europa, per esempio, c’è stato il caso della giornalista sudanese arrestata, insieme con altre tredici donne, perché indossava calzoni in pubblico, violando le “leggi sulla decenza”. Per questa “violazione” sono previste una quarantina di frustate: non male come rispetto delle donne e della loro autonomia. Ne parla Mona Eltahawy in questo articolo sul New York Times: peccato che anche lei, come tanti altri, ripeta il vecchio ritornello secondo cui questa sarebbe una distorsione del “vero Islam”, i cui insegnamenti “sottolineano la capacità di perdonare e la compassione”. Non c’è che dire: una bella lettura selettiva dei precetti coranici. Oppure che dire del nuovo democratico Afghanistan? Per venire incontro alle esigenze dei talebani è stato sancito, di fatto, lo stupro delle donne all’interno del matrimonio. In Iraq, invece, si è aperta la caccia ai gay: e in questo caso non vuol dire che i gay non possono sposarsi, ma che vengono torturati e ammazzati direttamente dalle milizie, le quali restano impunite. Non so se è chiara la sottile differenza tra le due cose. A questo punto mi viene davvero da credere che sarebbe stato meglio abbandonare Afghanistan e Iraq al loro destino: con i risultati che (non) abbiamo conseguito avremmo risparmiato un bel po’ di vite umane.

E qui, nel “mondo occidentale”, che cosa facciamo? Mostriamo condiscendenza verso comportamenti e rivendicazioni che, se fossero avanzati da altre religioni, scatenerebbero – e a ragion veduta – una ridda di proteste e di censure. Sembra che chi sostiene questo genere di multiculturalismo abbia introiettato una certa quantità di masochismo, per cui è giusto e sacrosanto bastonare i fondamentalisti di casa nostra – le cui armi sono ancora spuntate – ma è scorretto politicamente frenare le derive fondamentaliste altrui. In questi casi sono proprio certi progressisti accecati che, novelli Quisling, si prestano alla bisogna. Giusto un paio di esempi di questi ultimi giorni. A Yale la casa editrice universitaria pubblicherà un libro sulle famigerate vignette danesi raffiguranti, tra l’altro, Maometto che, qualche anno fa, scatenarono l’ira (spesso organizzata e manovrata politicamente) dei paesi musulmani. Però, per non dare troppo fastidio, non riprodurrà quelle stesse vignette che sarebbero l’oggetto dello scandalo, oltre che l’argomento principale del libro. In Inghilterra, invece, è di pochi giorni fa il caso di un ministro – Jim Fitzpatrick – che ha abbandonato un matrimonio islamico, nell’East End londinese, perché pretendevano che lui e sua moglie sedessero in stanze separate. Per questo è stato criticato dalla comunità musulmana britannica, che ha visto nel suo gesto – tra l’altro molto tranquillo – una “grave offesa”, e gli sono state chieste scuse ufficiali. Ma come? In questo caso la parità tra uomo e donna non vale più niente? In ossequio ai pregiudizi di una religione tribale – perché questo sono certi precetti – dobbiamo buttare a mare certi princìpi non negoziabili? La reazione di Fitzpatrick sarebbe stata degna di un elogio, altro che di attacchi!

In Italia, invece, in questi giorni abbiamo le polemiche sul “burquini”. Per ora è solo una notizia che fa colore, ma mi auguro che non si diffonda la tendenza a far nuotare le donne travestite da mummia azzurra o da puffo gigante. O quanto meno, pretendiamo un po’ di reciprocità: se in qualche paese islamico le donne (magari anche solo occidentali) potranno, se vorranno, nuotare nelle piscine pubbliche con un bikini, allora non c’è problema. Oppure, se vogliamo stabilire eccezioni per motivi religiosi, non vedo perché io non potrei – tanto per dire – nuotare nudo accampando la spiegazione che me l’hanno imposto il mio dio e la mia religione. Qualche giorno fa, invece, c’è stata la polemica sui braccianti agricoli del Mantovano e l’obbligo di bere anche durante il Ramadan, pena il licenziamento. E’ evidente che chi lavora sotto il sole cocente di agosto deve reidratarsi. Non ci sarebbe neanche stato bisogno di minacciare il licenziamento, in realtà: per cautelarsi bastava far firmare uno scarico di responsabilità. Se qualcuno voleva continuare a non bere, ebbene, avrebbe dovuto dichiarare di assumersi la responsabilità di qualunque cosa fosse successa poi. Punto e fine del discorso. (Tanto per intenderci: se uno, per motivi religiosi, preferisce lasciarsi morire di sete è libero di farlo, in nome della sua libertà individuale, così come un testimone di Geova può tranquillamente lasciarsi morire pur di non subire una trasfusione. Quello che non si può pretendere è di trasferire la colpa a qualcun altro e garantire questa libertà come uno statuto di eccezione in virtù della sua appartenenza religiosa). Altrimenti vale lo stesso discorso del “burquini”: chiunque, per qualsiasi motivo, potrebbe avanzare una ragione per cui la sua personalissima religione gli impedisce di fare qualcosa: se il mio dio mi vieta di rispondere al telefono o di scrivere email in un certo periodo dell’anno, posso essere esentato dal farlo senza rischiare il posto di lavoro?

Insomma, se è generalmente pericoloso fare eccezione ai princìpi di uno stato laico per favorire una religione, lo è ancora di più quando questa religione è l’Islam che, diversamente dalle altre, non conosce, negli stati in cui è praticata, la separazione tra sfera privata e sfera pubblica. Occorre vigilare e frenare, altrimenti – concessione dopo concessione – il 2050 potrebbe diventare davvero un incubo e trovarci islamizzati. Nel modo peggiore, oltretutto.


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