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Non so perchè ma ai bimbi piace il gusto limone

Creato il 22 febbraio 2014 da Eva Guidi

9788811686620

“Quando si è conosciuto il male, il bene non sa di molto. Il male è una droga, il male dà piacere, per questo quei macellai uccidevano sempre di più ed erano sempre più sadici: non ne avevano mai abbastanza…”; ho deciso di iniziare con una citazione perché non avrei saputo cos’altro scrivere, mi mancano le parole quando devo affrontare determinate tematiche e, senza alcun dubbio, l’impotenza di fronte al male del mondo è ciò che maggiormente mi terrorizza. La verità è che, per quanto ci abbiano sempre fatto credere che il male ed il bene siano le due facce opposte di una stessa moneta, il potere distruttivo del primo supera di gran lunga quello liberatorio del secondo; il male può tutto e non credo sia una visione pessimista della realtà ma semplicemente la considerazione più immediata: a parer mio, non c’è bene tanto grande che possa riparare le crepe della peggiore malvagità.

“Il profumo delle foglie di limone” di Clara Sanchez ci propone di ripercorrere una delle peggiori atrocità della nostra storia,  passi che uno dopo l’altro hanno portato l’affermazione di una malattia, sotto le mentite spoglie di ideologia, al potere supremo. La protagonista, Sandra, è una ragazza apparentemente senza arte né parte, incinta di un uomo che non ama e con una visione del mondo forse ancora  un po’ troppo immatura; in poche parole non è pronta a vivere, a crescere, ad assumersi quelle responsabilità che scaturiscono naturalmente nel momento in cui si sceglie di combinare qualcosa. Il destino, il male o il bene, a seconda di come il lettore decida di interpretare le circostanze successive, la portano ad imbattersi in due ultraottantenni norvegesi, i nonni di cui la vita l’aveva privata troppo precocemente; in questo incontro si concretizza il vero messaggio dell’autrice, l’idea che “i mostri che fanno più paura sono quelli che si nascondono dietro un volto benevolo”, il fatto che sia difficile, ad un primo sguardo disattento, rendersi conto di essere dinnanzi al male peggiore. La conoscenza di Juliàn, pensionato argentino in cerca di vendetta, le fa aprire gli occhi, portandola ad un drastico cambiamento, non solo superficiale, ma interiore, facendole scoprire quanto ognuno di noi possa essere coraggioso e capace di grandi cose, spinto semplicemente dal riconoscimento della propria forza. Un incontro generazionale insolito per la nostra epoca, che porta Sandra a valorizzare sé stessa per la prima volta nella vita.

Ciò che forse mi ha parzialmente deluso del libro è la conclusione: ammetto di essere stata un po’ ingenua e fantasiosa nell’aspettarmi la fine col botto, ma non voglio arrendermi all’idea che i cattivi vincano sempre; i lieto fine mi hanno perennemente annoiata, il “vissero felici e contenti” ha iniziato a non convincermi più quando ancora giocavo con le Barbie (per come vedevo io le cose, Ken tradiva la bella biondina con Tania e le lacrime non erano mai troppe), ciò nonostante sono rimasta male di fronte a questa obbligata rassegnazione. Tutta la fatica compiuta dai protagonisti non viene per nulla ripagata ed il lettore, esattamente come Sandra e Juliàn, deve accontentarsi di un ritorno alla normalità, come se nulla fosse stato.

Il male ha potere, il male è sfrontato, sfacciato, subdolo e distruttivo; è difficile difendersi, trovare i mezzi con cui contrastarlo, perché è un’epidemia da cui è quasi impossibile scampare, come contagiato consapevole o vittima in fuga. In ogni caso, mi chiedo, è giusto e ragionevole continuare ad abbassare il capo senza combattere, stare a guardare ed aspettare la fine, coltivando l’inutile speranza che il destino possa per una volta essere dalla nostra parte?

Sono dell’idea che proprio quel destino alle volte debba essere indirizzato e sta a noi rubare la penna al fato e scrivere parzialmente la nostra storia.



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