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Non solo cinema: Abbiamo sempre vissuto nel castello.

Da Mariparacchini
Non solo cinema: Abbiamo sempre vissuto nel castello.
Ogni recensione o pseudo tale di questo libro che si trova in giro si apre raccontando che il buon Stephen King ha dedicato alla signora Jackson il suo libro L'incendiaria, dicendo piu' o meno cosi':
A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce.
 Ebbene, un motivo c'e', se tutti finiamo a tirare in ballo il Re, per descrivere la tenera Shirley Jackson. Perche' lui ha sempre la capacita' di dare la perfetta definizione a qualsiasi cosa, nel modo apparentemente piu' semplice e banale possibile. E questa volta non e' da meno, perche' mentre si sfoglia Abbiamo sempre vissuto nel castello la sensazione e' proprio di leggerezza (solo apparente, non fatevi ingannare), di pacatezza, sembra DAVVERO di stare leggendo qualcuno talmente in grado di fare quello che fa da non avere bisogno di imporsi sbraitando, di sgomitare per colpire.
Finisce per colpire comunque, e quando il colpo e' inaspettato la botta e' piu' forte.
In seguito ad una terribile tragedia familiare, le due sorelle Merricat e Constance rimangono a vivere sole nella tenuta di famiglia con il vecchio zio Julian. Sono quasi completamente isolati dal villaggio, poiche' tutti ritengono Constance colpevole dell'omicidio di diversi membri della famiglia. Complessivamente pero' se la cavano bene, le due sorelle sono legatissime e lo zio e' una compagnia piacevole.
A rovinare il clima e la routine arriva il cugino Charles.
E' una lettura breve, questa, che scorre anche molto veloce. Questo perche' la nostra narratrice e' Merricat (Mary Katherine), minore delle due sorelle, personaggio che mi ha stregata da subito. Ha un linguaggio semplicissimo e per nulla artificioso, motivo per cui vi consiglio la lettura del romanzo in lingua anche se non masticate troppo l'inglese perche' e' davvero basico. E' piena di strani vizi e manie, parla di vivere sulla luna, sotterra gli oggetti nel giardino, e' la piu' temeraria delle due, se vogliamo.
Questo perche' Constance rifiuta qualsiasi contatto con il mondo esterno. Dopo la tragedia avvenuta sei anni prima e di cui lei e' ritenuta la responsabile, non ha mai piu' messo piede fuori casa. Il villaggio tratta la famiglia (o quantomeno cio' che ne rimane) con curiosita' estrema, anche maniacale. (Vi dice niente che la gente va in pellegrinaggio sulla tomba di Sarah Scazzi? Ecco, capirete che la Jackson non s'e' inventata niente, ahime'.)
Eppure, dopo tutte questi preamboli, si sfogliano le pagine e niente e' come appare. Non aspettatevi grandi colpi di scena, scene d'azione o mirabilanti imprese. Qui tutto scorre apparentemente sottotono. Eppure ci rivela un mondo terrificante. La solitudine piu' devastante, ma che e' tale per scelta personale. E questo vivere completamente fuori dal mondo che ti rende 'diverso'. O forse ti rende semplicemente te stesso nel modo piu' autentico possibile, perche' non sei sfiorato dalla societa', dalle convenzioni, dai concetti di educazione e normalita'. Sentirete sulla vostra pelle un gran senso di disagio non appena percepirete (perche' non vi verra' mai detto esplicitamente) quanti anni hanno in realta' le Blackwood. Cosi' come respirerete l'atmosfera di assoluta serenita' (che pero' riportata su carta e' estremamente inquietante) di questo loro castello sulla luna, in cui nessuno puo' penetrare.
Perche' loro sono felici cosi'.

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