Dire che non c'è pericolo è stupido. Dare solo l'allarme non è molto profondo. Ma mettere una centrale nucleare in un posto sismico significa avere un'organizzazione veramente ottima per ridurlo al minimo e avere piani e disciplina per le evacuazioni. Le popolazioni interessate dovrebbero essere messe nelle condizioni di accettare l'enorme rischio, in cambio di una politica di sviluppo talmente intensa e vera da convincerli a cambiare vita per accogliere la centrale. Ma questo comporterebbe costi aggiuntivi per chi fa le centrali, visto che si dovrebbe assumere i costi delle esternalità negative. In assenza di uno scambio vero tra popolazione e produttori di energia, rischio contro investimenti di pari portata e lungimiranza, mettere una centrale è solo sfruttare un territorio e una popolazione, con tutti i suoi discendenti. Chi vuole fare una centrale si deve assumere il costo delle esternalità in misura molto importante. Se non si pone la questione come richiesta a una popolazione di assumersi un rischio in cambio di un progetto di sviluppo vero e lungimirante, la questione nucleare resterà ideologica. Nell'ignoranza e nella poca trasparenza si coltiverà soltanto malcontento, paura e possibile corruzione.
Il punto mi sembra stia tutto qui. Non si discute la strategia (o meglio, se ne può anche discutere purché le politiche energetiche siano volte agli interessi della comunità), ma gli attori che dovranno mettere in pratica tali strategie. Su T-Mag il concetto è stato espresso al meglio: “Più precisamente c'è chi si dice contrario al nucleare non tanto per il pericolo che le centrali provocherebbero, quanto perché non si fidano di chi in Italia dovrebbe occuparsi dello sviluppo della tecnologia e anche della relativa sicurezza”. Mentre scrivo, infatti, mi accorgo di non fidarmi troppo del mio Paese ancor prima del nucleare. Non ne vado fiero, ma è così che stanno le cose.