“Non uscire con una ragazza che viaggia” (ma nemmeno con un clichè ambulante)

Creato il 29 gennaio 2014 da Danny @StoriediViaggio

Quando ho letto il titolo “Non uscire con una ragazza che viaggia”, mi sono detta subito “Ecco, già la situazione è grama, se iniziano a fiorire guide su come evitarmi…” Poi ho letto tutto il testo e ho capito che si parla d’altro. Il web-tormentone del giorno, linkato, condiviso e rimbalzato sulle bacheche di Social-Viaggiatori & Travel Blogger, mi ha lasciato perplessina.

Ammetto l’invidia che nutro per l’autrice del testo, insegnante di yoga che sicuramente non conosce il mal di schiena che mi accompagna in questi giorni, ma a parte quello … :-)  già l’ attacco mi disorienta.

“ Lei è quella coi capelli scompigliati, trascurati e stinti dal sole. La sua pelle è molto diversa da com’era prima. Non esattamente baciata dal sole. E’ bruciata e con i segni dell’abbronzatura, cicatrici e punture qui e lì”

La prima obiezione da fare sarebbe che una ragazza che viaggia non necessariamente viaggia sempre agganciata sotto un camion, ma sorvolo… pian piano inizio ad orientarmi e capisco dove sta parando il testo. Segue luogo comune della viaggiatrice freelance creativa che odia la routine, non sa quando avrà la prossima paga ma vive il suo sogno, non ha orologi, parla con gli sconosciuti, è “affamata e folle” come da indicazione dei migliori predicatori del marketing.

Credo che si viaggi soprattutto per capire il mondo e le persone, con la conseguenza, quasi inevitabile, di ampliare i propri orizzonti mentali. Dunque questo ritratto della viaggiatrice fricchettona, non ci sembra un po’ stereotipato? Va di pari passo con la macchietta del Vero Viaggatore rigorosamente backpacker, che non ha mai fatto una prenotazione, dorme solo il ostelli, un clichè vivente insomma. Come se esistesse un modello.

Io ho fatto couchsurfing, dormito in ostelli con camerate da 10, in appartamenti condivisi con estranei, in motel, in romantici b&b, in alberghi di catene internazionali, in lussuose haveli indiane e mi sono sempre sentita in viaggio allo stesso modo. O in modi diversi, ma sempre in viaggio.

Viviamo in un momento in cui l’impermanenza (professionale, sentimentale, abitativa, esistenziale) è la regola, non l’eccezione.  Che serve farne l’elogio, anche un po’ supponente? Il 70% delle persone che conosco non lavora dove lavorava cinque  anni fa, probabilmente non ha un programma preciso per i prossimi cinque, e buona parte di loro nemmeno ama prendere un aereo.

Per mia esperienza posso dire che i periodi di maggiore precarietà economica, esistenziale o amorosa, hanno anche coinciso con quelli in cui ho viaggiato meno. E non è solo una questione di vil denaro, è soprattutto questione di energie mentali, di risorse da investire, di voglia di partire che si sente di più quando si  ha una casa (in senso sia fisico che metaforico)  in cui tornare. Altrimenti è solo un ciondolare per il mondo in preda all’irrequietezza  – che su Chatwin era affascinante, su un qualunque girandolone perdigiorno folgorato sulla via di Kerouac  (Quel che conta è andare!!) … molto ma molto meno. Ho conosciuto persone con famiglie stabili, lavori da dipendente pubblico e uno spirito aperto, curioso, molto più “da viaggiatore” di chi semplicemente va perché non sa stare.

Pessoa diceva che “i viaggi sono i viaggiatori”; lasciamo allora che ne esistano di tutti i generi e di ogni natura, senza delineare identikit, banali e stereotipati per di più.  Le ragazze sbruffone che si dimenticano di far sapere quando atterrano, troppo impegnate anche solo per apprezzare una cena insieme, ben decise a non sforzarsi per piacere al prossimo ma sempre pronte a fare i grilli parlanti “su problemi globali e responsabilità sociali”, non sono proprio il prototipo delle ragazze che viaggiano. Sono solo delle rompiballe con la valigia.

Ok, qualche volta possono capitare i capelli scompigliati e trascurati…

Ok, anche la pelle macchiata, scrostata, bruciata, ma poi basta!


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