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Non vendere i tuoi sogni, mai

Creato il 31 maggio 2010 da Viadellebelledonne

Il movimento del ’77 in due memorie storiche-auto-biografiche di Umberto Lucarelli.

Non vendere i tuoi sogni, mai
Conobbi Umberto Lucarelli sui vagoni di un treno mattutino che veloce si recava a Milano, recando con sé le sbattute schiere di lavoratori senza senso. Rimasi subito affascinato dal suo idealismo. Non è facile ritrovarne in un uomo che «nel mezzo del cammin di nostra vita», si ritrova nella «selva oscura» della società contemporanea. Quella tempra straordinaria, forte, nobile, di una generazione quasi ingenerata, la lessi pari pari nelle sue opere, permeate da quello stesso «spirto guerrier», ruggente, da quella sana rabbia interiore che in quegli anni ‘70 voleva cambiare il mondo. E mai come oggi si riparla del sogno perduto di un’epoca che al tramonto dell’altro millennio era seriamente intenzionata a creare un mondo nuovo, più giusto, più vivibile, ma soprattutto più sostenibile. Umberto appartiene proprio alla generazione che nel ‘77 aveva 16 anni, il fiore della giovinezza e della gioventù, erede diretto di quello “strano” movimento che, oltre il ’68, segnò una rivoluzione mancata, rimossa dalla storia collettiva nazionale per anni. Lo stesso malessere giovanile che si espresse anche in forme drammatiche, sotto la pesantezza degli anni di piombo, lo ritroviamo rievocato tra fantasia e realtà in un forte intreccio storico-auto-biografico in Non vendere i tuoi sogni, mai. I sogni invendibili del protagonista, Michele Giorgi, si ritrovano ancora più nel Ser Akel va alla guerra: i due testi in cofanetto pubblicati dalla Bietti di Milano nel 2009 ripropongono le antiche edizioni dell’‘87 e del ‘91. Sono gli eterni sogni e le sofferenze e i dolori dei giovani Werther o degli Ortis. «Tutto,» annota Goethe, «in ogni dove è popolato da innumerevoli forme, ma gli uomini si chiudono fra di loro, nelle loro case. Vi si annidano. Si autoproclamano signori del creato. Illuso! Tu che vedi tutto piccolo, perché sei tu piccolo». Come non ricordare il grande Eraclito? I dormienti vedono il proprio mondo, gli svegli, invece, guardano al mondo. Basta rileggere alcune riflessioni di Umberto per rendersi conto dell’universale disadattamento del giovane, ma soprattutto dell’intellettuale autentico, ad una realtà stantia e staticamente abulica di fronte ai grandi problemi dell’umanità: «Ci si invidia per niente tra ragazzi: era sufficiente possedere una bicicletta in più, una moto, per essere considerati ricchi, benestanti, borghesi, ma io mi sentivo un indiano d’America, oppure, dopo le lezioni di Dirbani, un cavaliere errante. La mia realtà era un magico gioco. E noi continuavamo a parlare di marxismo, di leninismo e, in fondo, forse di materialismo se ne capiva ben poco. Io continuavo a fare il gioco di Ugo Foscolo, quello delle illusioni, a cogliere la realtà come uno psicotico, un autistico. Si toccava con la mano la rivoluzione e Lillo, un compagno, si preoccupava dei bollini per la pensione… Per quale fottuto motivo avrei dovuto interessarmi della pensione? Il fatto è che tutti, quando ci mettiamo lì a fare grandi progetti di vita, di lavoro, crediamo di essere immortali. Da bambino, spesso, facevo il nazista, fino a dodici, tredici anni avevo i soldatini del duce, di Hitler. Poi Zagor-te-nay, lo spirito con la scure, gli Indiani d’America, i cavalieri, i giovani Werther. I capitani di Ventura. E poi Ken Parker, i Corto Maltese, i gentiluomini di fortuna». Umberto tenta di dare una risposta esistenziale a quel perenne motivo di Ropespierre: «Cittadini vorreste una rivoluzione senza rivoluzione?». E non vorrebbe avere la risposta di un Saint-Just: «Coloro che hanno fatto una rivoluzione a metà, non hanno fatto altro che scavarsi una tomba». Così Umberto ripercorre quel sogno della “fantasia al potere”, tra peter-panismo e realtà, ove la sacralità del fatto si perde nei meandri della storia sì, ma di quella storia della immaginazione. Egli stesso richiama alla memoria Bakunin, «la rivoluzione è per tre quarti fantasia e per un quarto realtà». Perché la storia più che di fatti è fatta di idee, di aspirazioni, di aneliti e quella storia confina con la immaginazione, col mondo dei possibili. È proprio la storia dei “se” e dei “ma”, e non solo quella che “è e basta!”, come asseriva Croce. Ma quella fusione tra arte e realtà era possibile, per una generazione che aveva vissuto il dramma di un’epoca nei sogni infranti nelle illusioni e nelle delusioni. E così ritorna il felice mondo: non solo l’interpretare il mondo, ma il modificarlo. Non più la cultura, la letteratura, l’arte, la scienza, qualsiasi espressione del genio umano disincantata, distaccata, di classe, di partito: l’arte per l’arte, al di fuori della politica, nella realtà non esiste. La letteratura e l’arte, come Lenin era solito dedurre, sono una rotella ed una vitina del meccanismo intero della rivoluzione. Solo nella prassi l’uomo può provare l’oggettività del proprio pensiero. Così Marx nella seconda delle Glosse a Feuerbach ribadisce che la discussione sulla realtà o irrealtà del proprio pensiero che si isoli dalla prassi è una questione puramente scolastica. Ed è anche la celebre formula hegeliana: «ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale è reale», cioè l’indistinzione tra essere e dovere essere, tra fantasia e realtà, hic rodhus hic salta. Queste due memorie di Lucarelli hanno il significativo pregio e merito allora di riportare lo spirito nella realtà degli anni settanta ma con uno spirito di novità e di genuinità veramente espressive, e non solo con lo spirito disincarnato dello storico o del cultore. L’opera di Umberto sintetizza in questo senso l’alto senso della vita dell’intellettuale completo, che sa, nella formula mazziniana, ben sintetizzare «pensiero» e «azione» e sa far vivere la vita ideal-reale, come il romantico esteta ed asceta schellinghiano, come nella forte espressione gramsciana: «le idee hanno mani e piedi!».

Vincenzo Capodiferro

Umberto Lucarelli (1961), scrittore e regista, ha partecipato al “Movimento del ‘77”. Ha pubblicato Il quaderno di Manuel (Tranchida 1994), Fossimo fatti d’aria (BFS 1995), Nulla (BFS 1999), Pavimento a mattonella (BFS 2001) e San Giorgio e il drago (Ibis 2008). È tra i fondatori del Premio letterario Sofia, rivolto agli studenti delle scuole superiori. Dirige il corso di cinema, teatro e comunicazione in collaborazione con Anffas Milano Onlus nel progetto “Arte, teatro e Handicap”, per cui ha curato il cortometraggio Il valore di esistere, nell’ambito dell’iniziativa Educare alla diversità.



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