La figura stilizzata di una chiocciola è stata scelta come logo della manifestazione. La lumachina incarna, infatti, in maniera esemplare il concetto di decrescita, o meglio di “a-crescita”.
Essa, infatti, “capisce” che un’eccessiva grandezza peggiorerebbe la qualità della sua esistenza. Allora a un certo punto stoppa la crescita del proprio “guscio”. L’animaletto invertebrato abita, infatti, nella stessa conchiglia per tutta la vita. Così, non gli passa mai per le antenne la tentazione di procurarsi un’abitazione più grande e confortevole.
L’uomo contemporaneo delle società capitalistiche sembra invece non tenere in nessun conto l’”insegnamento” della bestiolina in questione. E, infatti, finisce sovente per essere smodato nel suo agire. Così, si butta via troppa roba, creando troppi rifiuti, e “si mangia” troppo della natura circostante, generando inquinamento e cementificazione. Ciò, avviene proprio perché la “crescita” del genere umano non sembra conoscere adeguatamente il concetto della ragionevolezza.
La convinzione generalizzata sembrerebbe quella che sia possibile una crescita infinita della produttività e con esso dei vari prodotti interni lordi. Ma è proprio così? Viene in mente il termine hybris ben presente nella letteratura greca, che stava a indicare l’eccesso, il superamento delle leggi non scritte su cui si basa l’armonia delle cose. Per Eschilo, ad esempio, «la mancanza di misura,maturando, produce la spiga del traviamento e il raccolto che se ne trae è, di fatto, solo lacrime».
Si pensi all’eroe ellenico Prometeo. Egli è un po’ l’iconizzazione della diffidenza con cui in passato era guardata la tendenza del genere umano a indulgere nel superamento dei propri limiti. Tuttavia, la virtù della moderazione sembra sempre meno far parte del codice genetico dell’uomo contemporaneo.
La crescita senza freni di economia e tecnologia è associata all’idea di benessere, ma ormai scarseggiano le prove certe che le cose stiano proprio così. I valori di cui si è a lungo fatta forte la cosiddetta crescita si sono progressivamente sgonfiati e andrebbero rinvigoriti con nuove prospettive economiche e sociali scevre dell’idolatria dello sviluppo indiscriminato. Ma tutto ciò sembra sfuggire alla maggior parte degli economisti e politici.
A livello planetario si ode ormai riecheggiare un solo “mantra” insistito e insistente che fa della parola “sviluppo” la formuletta magica per ogni crisi economica e sociale. Eppure, proprio nella patria virtuale della crescita smodata, gli Stati Uniti di America, si levava già nel mitico anno 1968 una voce che aveva intuito tutti i limiti di uno sviluppo economico e produttivo privo di freni.
«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».
Parole di un eroe idealista di qualche film o romanzo yankee on the road? “Credo” di un guru di qualche filosofia di vita alternativa? Non proprio, si tratta di un discorso tenuto dal senatore Robert Kennedy in un’Università del suo Paese. Poche settimane dopo questo illuminato e illuminante discorso, Kennedy seguì il fratello John nel tragico destino di una morte “pubblica”, per mano di uno sconsiderato attentatore. E di decrescita o almeno a-crescita economica nessuno si è più sognato di parlare con convinzione. Quanto meno fino alla fine del secolo scorso.
Ora che la situazione economica e ambientale appare critica a livello generalizzato, quei concetti iniziano ad apparire più sensati e appetibili a un numero crescente di persone. La crescita della simpatia per la decrescita, ci si perdoni il gioco di parole, potrebbe alla fine essere la ricetta giusta per un maggior equilibrio del pianeta e dei suoi talvolta pretenziosi abitanti.