Al grido “All’assalto!”
Giulio Orsini fu impercettibilmente più lento di molti altri ed ebbe il tempo
di vedere i soldati (fra di essi dei lesti patrioti) maciullati dalle
mitraglie e morenti, sanguinanti e
aggrovigliati nel filo spinato a difesa della trincea opposta.
Pochi istanti prima,
allocando la baionetta, incrociò lo sguardo del compagno di sventura al suo
fianco e questi vide riflessa nello specchio dell’iride di Giulio la lieve
foschia che prelude alla fine.
Per farsi coraggio gli
disse: “Vai, vai e non voltarti mai!”. Lo disse in italiano, con marcato
accento veneto, ed il ronzio nelle orecchie del compagno, effetto delle
esplosioni d’artiglieria, fece rassomigliare l’incoraggiamento ad un miagolio.
Giulio Orsini si voltò
comunque, impazzito dalla paura, ma non ebbe il tempo di compiere un passo
verso la propria trincea che notò distintamente la fiammata prodotta dalla
pistola, il cui proiettile gli trapassò il cuore, ma non poté confortare l’ufficiale
assassino, il quale si rammaricò del gesto istintivo, poiché un’esecuzione davanti alle
truppe – a dimostrazione che nemici e disertori sono della stessa pasta – avrebbe
avuto maggior effetto.
Nella frazione di tempo
fra la fiammata e la morte, Guido Orsini visse un’esperienza che, in genere, accompagna anche l’estasi; il tempo perde i connotati o forse evapora,
lasciando respirare gli eventi.
Ricordò infatti con
dovizia di particolari il brutto tiro giocatogli tre volte dalla bella Irene, prima di partire per il fronte.
Per tre sere
consecutive, seminando genitori e guardoni, si erano appartati in collina fra
le robinie, per fare l’amore.
Osservavano in piedi la piana e
lei, dietro di lui, lo abbracciava. Non appena il sole scompariva sotto
l’orizzonte, Irene gli copriva gli occhi con le mani. Dopo un paio di minuti
toglieva le mani e gli sussurrava “Non voltarti mai…”, lo diceva in italiano, ma
con un marcato accento veneto.
Indietreggiava poi d’un
passo, per non aver contatto fisico, sussurrando ancora: “Non voltarti mai…”…
La prima sera Giulio s’imbronciò
dalla delusione. Il giorno seguente esclamò: “Seeee… così scapi ancora!”; lo disse tentando un improbabile italiano,
necessario per rimarcare concetti importanti.
La terza sera gridò
nella boscaglia: “Vaca putanaaaa!”.
Sicché per tre volte la bella Irene si volatilizzò, invisibile e silenziosa come un barbagianni e
Giulio partì per la prima linea, con l’insopportabile peso di dover morire
quasi da uomo.
La ragazza, dal canto
suo, non era crudele ma – come capita –
più esperta in questioni di cuore ed era
ben conscia del fatto che facendo l’amore ci s’innamori del tutto.
Ancor più grave, se una
di quelle sere avesse fatto l’amore, forse si sarebbe ritrovata con un figlio a
carico e senza marito; un giorno il bimbo le avrebbe domandato chi mai fosse
stato il padre. Lei, probabilmente, avrebbe risposto “ma cosa te ne importa,
non voltarti mai…”, lo avrebbe detto in dialetto, perché era un concetto da
tener leggero, perché non si erano sposati e non era bene, confidando nel
potere ammaliante della pearà che sobbolliva in cucina.
Il bimbo, poi, voltandosi
comunque, avrebbe scoperto l’identità del padre e si sarebbe voltato alla
visita di leva ritrovandosi come l’unico della sua generazione e così infinite
volte, tante sono le occasioni che riserva la vita per farlo, come infinite
volte lo fece Giulio Orsini nella sua breve esistenza.
Anche la bella Irene,
del resto, si voltò infinite volte nella vita, sfilando davanti al monumento ai
caduti, tirando dritto verso il cimitero, voltandosi leggendo e rileggendo il
nome di Giulio Orsini; lo rilesse sempre con accento veneto, per carezzare il
ricordo, sempre, allungando verso il cimitero, si sarebbe poi voltata
sussurrando “…mona!”.
In gioventù ebbe la
lungimiranza ed il coraggio di ascoltarsi: le guerre per i poveri non terminano con la firma
di un armistizio.
Un vecchio raccontino: lo dedico a mia nonna Giacomina Formentelli ed a sua sorella
Maria, che non furono come Irene (io non sarei qui, probabilmente), ma ne pagarono
le conseguenze.
Dedicato a mio padre,
cresciuto senza papà, morto nella mattanza della ritirata dal fronte russo.
Dedicato a suo padre, tritato dagli ingranaggi degli eventi storici.
Dedicato a tutti,
giovani, vecchi e scomparsi, che concepiscono la “Liberazione Permanente”.
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