Magazine Famiglia
"Nonno ti ama", ha detto Dodokko alla nonna.
"Mi chiama?", gli ha chiesto lei.
"No, ti ama. Ti ama", ha ripetuto il bambino. "Non vedi come ti abbraccia e come ti aiuta a camminare?". Parole e frasi dimenticate e che, dopo tanto tempo, forse non ha più senso dire. Quando esistono, sono le azioni a sostituire la voce. E se all'improvviso quella voce, a distanza di anni, si sente di nuovo, quasi si stenta a credere alle proprie orecchie.
Tutto ciò che un bambino dice ha il sapore della novità e non è affatto vero che è superfluo parlare di cose che sono evidenti. Ciò che è ripetitivo, infatti, non si nota più, è come l'acqua ogni volta diversa che lo stesso fiume da sempre trasporta, finché non arriva una mano a raccoglierne per berla, a prelevarne una frazione e ad interromperne per un impercettibile istante il flusso, allora sì che sappiamo che è fresca e ci accorgiamo che è materia viva. Dare il nome alle cose non è inutile perché farlo coincide col passare dall'indistinto al particolare, significa prendere coscienza, svegliarsi dal sonno: è la goccia di sangue che esce dalla pelle quando ci feriamo a farci pensare che siamo muniti di un sistema circolatorio, senza un incidente minimo come questo non avrebbe senso considerare come si nutrono le nostre cellule.
Che mistero è la vita di ciascuno di noi, e quanto è strano il dimenticarcene così come il riprenderne coscienza, grazie a un pretesto banale. Ebbene - questo lo dico io -, è vero che il nonno ama la nonna, si prende cura di lei con una dedizione che non ho mai visto in altri. I suoi occhi, in questi giorni interminabili, non hanno altri occhi che per lei.
Gli occhi di lei, invece, "i suoi begli occhi azzurri" - così li ha definiti Dodokko - ora che ha saputo di essere amata, sono più accesi di prima e sembra che sorridano, ogni tanto.