Ho prenotato una camera d’albergo a Milano, tramite un sito web che fa da intermediario. Dopo qualche minuto, a prenotazione effettuata, mi è arrivata una email dov’era scritto che l’albergo non accettava la carta di credito prepagata che avevo indicato come garanzia.
Ho telefonato. Mi è stato detto che avrei dovuto dare il numero di una carta non ricaricabile. Ho riattaccato, ci ho pensato su, ho richiamato. Mi ha risposto un nuovo operatore.
L’ho informato di non voler fornire gli estremi della mia carta di credito e gli ho domandato se potevo pagare direttamente, saltando la prenotazione, con un bonifico. L’uomo mi ha detto, strisciando tutte le esse:
- Sssignora, sssi potrebbe ma, sssa, dovrebbe farlo con qualche giorno di preavvissso, per dare tempo all’albergo di verificare ssse il pagamento è andato a buon fine. Ma, comunque, sssignora, non si preoccupi perché la camera le viene mantenuta.
- Davvero?
- Certo, ssstia tranquilla.
Ho assicurato il tizio che sarei arrivata all’albergo prima delle 10.30 del mattino del giorno successivo, e ci siamo salutati cordialmente.
La mattina dopo, sveglia alle 5.30. Prendo il treno delle 7.00, alle 10.00 arrivo alla stazione centrale di Milano. In dieci minuti raggiungo l’albergo. Alla reception c’è lo stesso personaggio di ieri.
Mi accoglie con un sorriso e mi informa che a quell’ora è troppo presto per farmi fare il check-in perché le stanze sono ancora tutte occupate, ma che posso stare tranquilla: fino alle 18.00 la prenotazione mi viene mantenuta.
Trascorre il tempo e alle 17.25 mi cade l’occhio sul display del telefono che avevo silenziato: due chiamate senza risposta da un numero di Milano.
Risponde la voce del secondo operatore. È imbarazzato. Mi ingiunge di venire a pagare la camera entro le diciotto, dopodiché la renderanno disponibile ad altri clienti. Bofonchio, grondando irritazione, che è una scorrettezza, che mi costringono a lasciare a metà ciò che stavo facendo per non rischiare di dormire alla stazione.
Così come mi trovo, con la borsa a tracolla e senza giacca, esco nel tardo pomeriggio di questa città.
Copro il percorso verso l’albergo a passi frettolosi e a testa bassa. Ma il clima buono, l’aria talmente asciutta e fresca, mi fa sollevare gli occhi e intravedere, tra i palazzi con le finestre illuminate, un calmo cielo d’autunno che se ne sta così in alto, percorso da nuvole leggere. Per un istante mi accorgo dell’esistenza del Narratore, lo sento nitidamente mentre pensa tra sé e sé: Quanto sto bene, non ho nessuna voglia di discutere.
Salgo le scale all’ingresso, percorro un quarto di giro col cristallo della porta girevole che mi precede lento. Mi appoggio al bancone sventolando quei “micragnosissimi sessanta euro” e dico, senza troppa convinzione:
- Comunque non si fa così. Per colpa vostra rischio di non avere un posto per la notte.
L’impiegato diventa zucchero e miele, cinguetta tanto che pare il canarino Titty: lui mi capisce benissimo ma, d’altra parte, cosa ci può fare? È stretto da un lato dal collega che promette ciò che non può mantenere e il capo che lo tempesta di chiamate imponendogli di mandarmi fuori se mi presento dopo le 18.00. Eh.
Il pensiero di un letto che mi attende a fine giornata val bene la repressione della mia controbattuta.
Esco. Rientro che è quasi mezzanotte.