NonSoloNoir saluta Elmore Leonard

Creato il 21 agosto 2013 da Fabriziofb


Elmore Leonard si è spento oggi, 20 agosto, nella sua casa di Bloomfield Township (Detroit). Lo scorso 29 luglio era stato colpito da un ictus.
Nato a New Orleans nel 1925, ma stabilitosi a Detroit (città che farà da sfondo a molti dei suoi capolavori) nel 1934, Leonard, ex-marinaio di stanza nel Pacifico, laureato della Detroit University e copywriter per professione, si è timidamente affacciato sulle scene letterarie nel 1951, come autore di racconti western, per passare al romanzo nel 1953.
Nel 1967, in parte confortato dal successo ottenuto vendendo Hombre alla 20th Century Fox(1), ha deciso di dedicarsi integralmente alla scrittura, anche se forse il “grande salto”, quello vero, lo ha compiuto solo nel 1969, passando al genere “crime”. Fatto sta che da allora, da quel lontano 1967, ha sempre scritto, sfornando una marea di romanzi imperdibili -non solo per i cultori del genere(2)-, molti dei quali hanno fatto da soggetto a pessimi film (tra le rare “buone” eccezioni Jackie Brown di Q. Tarantino) o serie TV (una su tutte, la riuscita Justified, incentrata sul personaggio di Raylan Givens).
Sullo stile di Leonard si è detto troppo, eppure, come al solito, si è detto troppo poco: sarà forse perché, parafrasando l’apocrifo pseudo-zappiano, almeno a questo livello, quando si tratta di inchiodare davvero uno stile, anche discutere di letteratura è un po’ come “ballare di architettura”,  ma insomma, affermare che Leonard, influenzato  dall’opera  di George V. Higgins, abbia costruito la sua poetica sul dialogo, mi sembra una banalità. Una banalità assoluta. Sì, perché Leonard, che Higgins lo ha letto e ne ha tratto quel che poteva (e di questo non ha mai fatto mistero, anzi, lo dichiara apertamente nella sua introduzione a The friends of Eddie Coyle), ha rielaborato quel modo di scrivere iper-realistico, e iperrealisticamente caotico (nel tempo, a forza di rincarare la dose, Higgins è diventato quasi illeggibile), piegandolo alle esigenze di costruzioni ben diverse, e inventandosi un suo modo di raccontare.
E poi non basta: è vero, lo stile di Leonard è dialogico, minimale, ironico, ritmato. Ma non è solo questo. Leonard è  anche un maestro nelle descrizioni. Un maestro nell’uso dei particolari. Particolari di contorno, apparentemente di poco conto, e destinati invece a dimostrarsi rivelatori. Non vi pare? Non ve lo ricordate così? Che mi dite, allora, dell’inserimento della musica di Marivn Pontiac in Tishomingo Blues? E che mi dite di Killshot? Quanti autori conoscete, che siano in grado di caratterizzare i personaggi semplicemente infilandogli addosso una tshirt stampata con la scritta “It’s nice to be nice” o un giubbotto con la toppa “Ironworkers built America” cucita sul dorso? Provate a rileggere quelle pagine, e ditemi poi se è vero o no che sapete esattamente di che tipo di persone si tratta, e prima ancora che abbiano aperto bocca…
Questo era Elmore Leonard, e non solo questo.
A detta di molti, i suoi romanzi migliori risalgono al periodo che va dalla metà degli anni ’70 alla metà dei ’90, ventennio in cui, indubbiamente, Leonard ha sfornato alcuni dei suoi capolavori: opere quali Cat Chaser, Freaky Deaky, Killshot, Out of Sight, tanto per limitarsi alle più note. Ma secondo me, il motivo per cui Leonard ci piace tanto, oltre alla sua indubbia bravura, è l’incapacità di attaccarsi a una formula rodata: ha continuato a scrivere rinnovando costantemente ambientazioni, temi, stile, modi(3) e personaggi. Anche passati gli ottanta, e con più di quaranta romanzi sulle spalle. 
Ha continuato a scrivere e sperimentare fino all’ultimo.
Fino a oggi, si direbbe.
Questo era Leonard, e non solo questo.
E Probabilmente era per questo che ci piaceva tanto.

(1)Così secondo il traduttore Luca Conti, tra le voci italiane di Leonard (Leonard. lconti.com/2008/05/31/130/).
(2)Basti dire che un acuto rappresentante della cultura “hig brow” quale Stanley Fish, ha inserito esempi tratti dalle opere di Leonard nel suo How to write a (good) sentence and how to read one
(3)Tra le sue ultime prodezze, la produzione di un’opera riuscita come Gibuti, tutta costruita su una sistematica contravvenzione alla regola d’oro “show, don’t tell”. 


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :