Tra le uscite più interessanti di questo 2013 va menzionato lo split 12” tra due delle migliori formazioni lente in circolazione: gli americani Noothgrush e i giapponesi Coffins, due band fondamentali per chi è affezionato ai lati più sporchi e pessimisti del doom e del death metal.
Sul lato A ci sono i paladini californiani dello sludge, riuniti da qualche anno dopo uno scioglimento durato un decennio. Hanno avuto il merito, nel corso dei Novanta, di portare il genere verso una dimensione maggiormente nera e negativa, più di quanto hanno fatto i loro colleghi Eyehategod, Grief e Corrupted, con un cantato più sofferto ed esasperato e dei riff più legati al doom tradizionale. Nel corso degli anni la loro proposta musicale si è fossilizzata su quei lidi, e così è rimasta anche in questo split: una vera e propria cucchiaiata di petrolio, che il quartetto di Oakland infila dritta nella gola dell’ascoltatore. Su questo disco le novità sono poche: l’unica, sostanziale, è la presenza di Dino Sommese alla voce, cioè l’ex-batterista/cantante dei Dystopia, ora dietro le pelli dei thrashers Ghoul. Il suo screaming, in passato, era stridulo e ansimante, quasi soffocato e spesso molto vario, mentre qui ricalca molto quello del bassista Gary Niederhoff, ora relegato solo al suo strumento principale. La produzione sembra molto più “pulita” e sabbathiana che in passato (l’attacco di “Humandemic”, con questi suoni, ricorda moltissimo quello di “War Pigs”), come se si fosse aperto uno spiraglio più Seventies in quel mare di liquame che esce dalle casse.
Il lato B è affidato ai Coffins, qui presenti con due nuovi pezzi. Il primo, “Drown In Revelation”, è molto più simile al doom/death tipico dei loro dischi precedenti, con un incedere lento sull’inizio, più veloce sulla fine. Il secondo, invece, è molto più vario, con dei riff totalmente anni Settanta e una struttura molto più dinamica e bluesy rispetto alla media delle canzoni del gruppo: “The Wretched Path”, insomma, ricorda molto i Cathedral di Forest Of Equilibrium e dell’ep Soul Sacrifice. La voce del nuovo cantante Ryo (già “inaugurato” con l’ultimo full length, The Fleshland) è più profonda e cavernosa di quella di Uchino, pur rimanendo molto fedele al cantato tipico della band. La produzione è simile a quella del summenzionato lp: sempre meno oscura e sporca, più rocciosa, pulita e lontana dalla componente death metal, a privilegiare inevitabilmente la componente doom del quartetto.
Entrambi i gruppi sono in ottima forma, sicuramente chi li ama troverà del pane per i suoi denti, anche se riguardo ai Noothgrush tocca fare qualche considerazione in più. Mentre i Coffins hanno sempre saputo alternare ottimi split (alcuni di questi fondamentali come il 3 way cd Doomed To Death, Damned in Hell, assieme ad Anatomia e Grudge, prodotto dalla nostrana Grindmind) a eccellenti full length, così da guadagnarsi una popolarità sconfinata e un recente contratto su Relapse, la band di Oakland ha dato troppa precedenza alle uscite condivise. Di sicuro, l’essere stati inattivi per dieci anni e l’esser circolati troppo in ambienti hardcore non li ha resi così noti e apprezzati quanto meritano in territori più vicini alla loro proposta musicale. Da qualche anno a questa parte, però, la Southern Lord si è finalmente accorta di loro: sarebbe quindi ora, vista l’entrata di Dino Sommese e la loro futura partecipazione al Roadburn, di mettersi sotto e far uscire un secondo album di soli pezzi inediti, evitando di ripescare per l’ennesima volta brani vecchi (come in questo split, nel quale c’è ancora una volta “Jundland Wastes”).
Questo lp è sicuramente una delle migliori uscite dell’anno, che nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire. Entrambi i gruppi hanno registrato split più fighi, ma già solo un’accoppiata del genere è una buona ragione per acquistarlo.
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