NORBERTO BOBBIO, TEORIA GENERALE DEL DIRITTO
GIAPPICHELLI P. 3-5
La nostra vita si svolge in un mondo di norme.
Crediamo di esser liberi, ma in realtà siamo avvolti in una fittissima rete di regole di condotta, che dalla nascita sino alla morte dirigono in questa o quella direzione le nostre azioni. La maggior parte di queste regole sono diventate ormai tanto consuete che non ci accorgiamo più della loro presenza. Ma se osserviamo un po’ dall’esterno lo sviluppo della vita di un uomo attraverso l’attività educatrice compiuta su di lui dai suoi genitori, dai suoi maestri e via discorrendo, ci rendiamo conto che egli si sviluppa sotto la guida di regole di condotta. Per quel che riguarda l’assoggettamento a sempre nuove regole, è stato detto giustamente che la vita intera, e non solo l’adolescenza, è un continuo processo educativo.
Possiamo paragonare il nostro procedere nella vita al cammino di un pedone in una grande città: qua la direzione è proibita, là la direzione è obbligatoria; e anche là dove è libera, la parte della strada su cui egli deve tenersi è in genere rigorosamente segnata. Tutta la nostra vita è cosparsa di cartelli indicatori, dei quali gli uni comandano di tenere un certo contegno, altri proibiscono di tenere un altro contegno. Molti di questi cartelli indicatori sono costituiti dalle regole del diritto.
Possiamo dire sin d’ora, se pure in termini ancora generici, che il diritto costituisce una parte notevole, e forse anche la parte più vistosa, della nostra esperienza normativa. E perciò uno dei primi risultati dello studio del diritto è di renderci consapevoli dell’importanza del “normativo” nella nostra esistenza individuale e sociale.
Se ci stacchiamo per un momento dall’uomo singolo e consideriamo la società, anzi le società, degli uomini, se cessiamo dal riferirci alla vita dell’individuo e contempliamo quella vita complessa, tumultuosa e mai spenta delle società umane, che è la Storia, il fenomeno della normatività ci appare in modo non meno impressionante ed è ancor più meritevole della nostra riflessione.
La Storia può essere immaginata come un’immensa fiumana arginata: gli argini sono le regole di condotta, religiose, morali, giuridiche, sociali, che hanno contenuto la corrente delle passioni, degli interessi, degli istinti, entro certi limiti, e che hanno permesso il formarsi di quelle società stabili, con le loro istituzioni e coi loro ordinamenti, che chiamiamo “civiltà”. Vi è indubbiamente un punto di vista normativo nello studio e nella comprensione della storia umana: è il punto di vista, secondo il quale le civiltà sono caratterizzate dagli ordinamenti di regole entro cui le azioni degli uomini che vi hanno partecipato sono contenute. La storia si raffigura allora come un complesso di ordinamenti normativi che si succedono, si sovrappongono, si contrappongono, si integrano. Studiare una civiltà dal punto di vista normativo significa, in fin dei conti, domandarsi quali azioni fossero, in quella determinata società, proibite, quali comandate, quali permesse; significa, in altre parole, scoprire la direzione o le direzioni fondamentali verso le quali era avviata la vita di ciascun individuo. Domande di questo genere: «presso quel determinato popolo erano permessi i sacrifici umani o erano proibiti? era proibita o permessa la poligamia, la proprietà dei beni immobili, la schiavitù? com’erano regolati i rapporti di famiglia, che cosa era permesso al padre di comandare ai figli e che cosa era proibito? com’era regolato l’esercizio del potere, quali erano i doveri e i diritti dei sudditi nei confronti del capo, e quali i doveri e i diritti del capo nei confronti dei sudditi?», son tutte domande che presuppongono la consapevolezza della funzione che ha il sistema normativo di caratterizzare una data società; e non possono avere una risposta se non attraverso lo studio delle regole di condotta che hanno dato una certa impronta alla vita di quegli uomini, distinguendola dalla vita di altri uomini viventi in altra società inserita in altro sistema normativo.