Cammini, ti guardi attorno. Quello che vedi dipende dalla concentrazione, dai pensieri del momento. Mi piace guardare le facce, i volti della gente che come me cammina, si guarda attorno. A Giverny una coppia di orientali è seduta su una panchina davanti alla casa di Monet, immersa nel verde e nei colori dei suoi fiori. Rubo uno scatto, la foto è mossa, ma mentre sono lì a guardare quella donna ben vestita e l’uomo in grigio penso alla panchina di Dolls (Takeshi Kitano) lui e lei che si aspettano una vita.
All’estero la sensazione è che sia tutto più semplice, meno nervoso. In spiaggia ad Etretat un bimbo si avvicina all’acqua vestito, con le scarpette da ginnastica ai piedi. Prima scappa, poi fa un passo, poi i piedi finiscono immersi nel mare. I genitori sorridono, niente strilli, reazione più italiana. Forse parlo per luoghi comuni, a capofitto in stereotipi da due soldi. Ma penso alle facce. Nell’anziano che chiede l’elemosina a Dinan, nell’uomo dalla barba bianca che tiene sulla mano un gabbiano a Saint Malo, nel ragazzo che parla da solo seduto su un muretto di Concarneau con piume di uccello appuntate a raggera sui capelli, nel sorriso di Mireille mentre prepara la colazione all’hotel San Pedro, nella fatica di Jean Pierre e Jacqueline che hanno costruito con le loro mani lo splendido giardino e la casetta ad Alençon. In tutte queste facce vedo la capacità di prendere un respiro e affrontare le giornate, la vita, senza sprecare parole inutili. Forse è solo la malinconia da ritorno.