Magazine Cinema
Punteggio ★★★
Durante un incendio divampato la notte del 12 aprile 2004, la casa del giornalista del paranormale Kobayashi Masafumi (Muraki Jin) vienedistrutta e sua moglie ritrovata morta carbonizzata tra le macerie. Kobayashi nonverrà mai ritrovato. Con un salto all’epilogo del film vediamo che viene recapitata allaredazione televisiva dove lavorava il giornalista una videocassetta recante il titolo “Noroi”. L’unico a poter essereverosimilmente in possesso di quel materiale altri non può essere che Kobayashi stesso. Questo video sarà, in pratica, il film a cui assisteremo:risultato del lavoro scaturito dall’indagine sulla sparizione di una bambina conpoteri psichici (Kanno Rio) e sulla possessione di Ishii Junko, una donnadisturbata mentalmente (Kuga Tomono), il tutto connesso a strani fatti avvenuti nel1978 nel villaggio di Shimokage, successivamente sommerso dall’acqua di un lagoartificiale.Tra le miriadi di film horrorgiapponesi che hanno invaso gli schermi dall’uscita di Ringu di Nakata Hideo nel1997, fino ai numerosi e stucchevoli remake americani dei suddetti lavori,pochi sono stati i risultati davvero degni di nota nel sovraccarico panoramacinematografico dedito a questo genere. Oltre al menzionato Ringu, si potrebbero citare Dark Waters (dello stesso Nakata), Audition e TheCall di Miike Takashi, il folle Uzumaki di Higuchinsky, Kairo e Cure diKurosawa Kiyoshi, Ju-on di Shimizu Takashi (anch’esso riproposto in versionea stelle e strisce) e pochissimi altri. Oggi la mania per il j-horror è ormai spenta ma alcuni cineasti giapponesi hannocontinuato a cimentarsi con il genere, ormai fuori dai canoniprefissati dall’ingombrante (a livello di originalità del soggetto) Ringu. Ci si trova talvolta di fronte ainteressanti lavori, nei quali per la prima volta lo spettro delle influenzenon viaggia solo in una direzione (dal Giappone agli Stati Uniti), ma è ormai a trecentosessata gradi. Il buon Paranormal Activity Tokyo Night di Nagae Toshikazu nasce, infatti, dal successolanciato con il primo film americano di Oren Peli che ha a sua voltaradici sia nell’horror high-tech giapponese che nel mockumentaryamericano entrato in auge dopo The Blair Witch Project. Parlando di mockumentary veniamo a questo recente lavoro di Shiraishi Kōji (assistentealla regia in August in the Water di Ishii Sōgo e, per sua stessa ammissione, fortementeispirato dall’autore di Crazy Thunder Road), che ha dedicato a questo sottogenere un’intera trilogia composta da Noroi, Occult e Shirome. Il film nasce da un’idea diispirazione non orientale (La strega di Blair, Rec e Cloverfields sonomockumentary americani realizzati dal 2000 al 2008), che ha anch’essa generatonumerosi cloni ed ispirato vari progetti, ma riesce ad assumere,per qualità registica e recitativa, un ruolo sicuramente importante nelpanorama horror contemporaneo.«Questo documentario è ritenuto troppoinquietante per una visione pubblica». Con questa frase veniamo catapultati tra leriprese dell’indagatore del mistero e nelle sue indagini televisive per stradaed in mezzo alla gente, atte a svelare verità inquietanti scoperte in tutto ilGiappone. Tramite vari flashback delle trasmissionidi Kobayashi sul suo ultimo caso, il film mostra tuttele puntate che hanno riguardato questa vicenda. Inizialmente il pubblico viene reso partecipe delle capacità della piccolaKana, poi si viene messi a conoscenza della sua sparizione, fino a giungerealla scoperta della misteriosa e folle Junko e del suo piccolo bambino. Questidifferenti fatti, anche se a prima vista paiono tutti sconnessi l’uno dall’altro, sarannoin realtà ricollegabili, col prosieguo delle riprese, al mistero del villaggiodi Shimokage. Verso la fine degli anni Settanta, infatti, in questo minuscolovillaggio rurale dell’area di Nagano, gli abitanti erano soliti dedicarsiannualmente ad un rito comune per placare le ire del demone Kagutaba. Propriodurante il rito del 1978, però, qualcosa di strano accade alla giovane figliadel sacerdote (Junko) che, per l’occasione, si era mascherata proprio con lesembianze del demone, per rappresentare la pacificazione di questi attraverso igesti ritualistici del padre. La ragazza inizia improvvisamente a contorcersi aterra in preda a chissà quale strano malore. Durante la visione di questo film si ha davvero l’impressione di assistere aduna trasmissione televisiva giapponese, con tutti i tipici inserti graficicoloratissimi in primo piano, e le varie performance sopra le righe dipresentatori e ospiti presenti nella trasmissione.
L’inquietudine aumenta col procedere della narrazione e Shiraishi riesceperfettamente a far immedesimare lo spettatore attraverso l’artificio del falsodocumentario, inserendo immagini erranti sullo sfondo delle scene.Il secondo piano, al quale si può accedere con la coda dell’occhio, divienedunque primo piano concettuale, grazie all’impatto potente di quelle figure sinistre che affiorano improvvise in un qualsiasi campo visivo.
Nell’epilogo, poi, tutto l’orrore del film scaturisce in una ripresa brevissima,atta a mostrarci una figura umanamente inconcepibile, quasi fosse una visione subliminale e, come tale, inesorabilmenteperdurante nella mente dello spettatore per diversi minuti, anche dopo lavisione del film.
Noroi è un rappresentazione subdola edambigua di un orrore reale, che può celarsi ovunque. Quale rassicurazione oconforto potranno ancora esserci se il terrore e l’abominio si celano nei meandridella semplicità di un assolato pomeriggio di un vecchio villaggio ruralegiapponese, tra gli sguardi nascosti dalle finestre di un quartierepopolare di Tokyo o nell’innocente espressione di un indifeso bambino di seianni? [Fabio Rainelli]
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