Io e le mie amiche siamo persone orribili. E per quanto una ora sia una madre meravigliosa e l’altra una super dottoranda di tutto rispetto ed io… io sia… io, ehm, sono una che non scrive su questo blog da un diocane di tempo infinito* che mi prenderei a schiaffi. Beh, nonostante tutto ciò, la sostanza non cambia: siamo delle persone orribili. Perché quello che abbiamo fatto da bambine ci marchierà per sempre.
Abbiamo per esempio molestato un bambino nostro coetaneo che, poverello, era l’unico maschio in una classe di otto bambine. Lo abbiamo maltrattato nel senso che lo abbiamo spogliato (tre contro uno – più di una volta) perché volevamo vederlo nudo. E lo abbiamo deriso fino a farlo piangere. Rammento anche che lo facevamo ogni volta che rimanevamo soli. Roba che adesso sarebbe scoppiato il caso e ci avrebbero infibulato con un rasoio bic vecchio, arrugginito e pieno di peli delle ascelle incastrati tra le lame.
Bicicletta + randagi (felini)
Le mie amiche sicuramente non se lo ricordano, perché non ricordano mai niente. Ma io sì… e sono convinta che anche lui ricordi. E, onestamente, dubito che sia diventato un uomo dalla sessualità proprio proprio serena e canonica.
Ma tra le nostre malefatte ce n’è una che mi è rimasta impressa e giustifica la sua narrazione qui, in questo blog che sto proprio trascurando, ed ha a che fare con un sacchetto di carta della Standa, due Truciolones (ve li ricordate?) e dello scotch.
C’era una nostra compagna di classe (parliamo degli anni Ottanta) che indossava le prime felpe di marca. Quegli orribili felponi dai colori improponibili con grosse scritte all’altezza delle tette, per intenderci. A noi giovani (ed orribili) bambine proletarie, cresciute nel quartiere bbrutto della provincia, ci sembrava davvero strano che una ragazzetta volesse indossare qualcosa con scritto il nome della marca così grosso. Perché fino ad allora, la marca, non era altro che un’informazione riportata sull’etichetta all’interno del collo. Per noi era come se qualcuno avesse indossato un sacchetto della spesa. E infatti, per prenderla in giro, ci infilavamo i sacchetti di carta della Standa nella cintura dei pantaloni, ci appiccicavamo con lo scotch due Truciolones sul nostro petto piattissimo (la ragazza in questione invece era già sviluppata!) e così la schernivamo. Usavamo tenere con le dita degli scontrini attaccati ai lobi delle orecchie facendo finta fossero orecchini. Perché è così che l’esibizione della marca, ci faceva sentire… una vetrina. Un prodotto. Un catalogo ambulante. O il tifoso di una squadra.
Gli anni sono passati ed è venuto fuori il G8, i disobbedienti e i NO GLOBAL ed io – non le mie amiche che non ricordano mai niente – dicevo, si vabbé siete arrivati tardi con ‘sta cosa del NO LOGO.
Chiappe di fuori e non si è mai soli.
Il punto è che crescendo abbiamo cercato di espiare le nostre colpe (le molestie, il bullismo e quella volta che abbiamo fatto credere ad una bambina che se avesse tenuto da parte mille scontrini, avrebbe fatto vincere una sedia a rotelle ad un disabile. O di quella volta che abbiamo quasi ucciso i nostri amichetti perché abbiamo raccolto della neve, ne abbiamo fatte delle palle e l’abbiamo messa nel congelatore per poi scagliarle dal sesto piano verso i bambini ignari – che abbiamo mancato vivadddio – o di quella volta che abbiamo raccolto escrementi in un barattolo perché volevamo fare il profumo alla merda o di quella volta che ho finto di poter comunicare coi morti attraverso la scrittura automatica e facevo cagare in mano le mie amiche o di quella volta che abbiamo riempito di sassi la nostra capanna sull’albero per lanciarli contro i tossici che venivano a farsi nel bosco dietro casa - e in tutto questo, mi chiedo, davvero ho voglia di mettere al mondo dei figli?).
Dicevo… abbiamo cercato di espiare e siamo diventate delle belle personcine che limitano l’uso di carne e derivati animali, non indossano pellicce di cucciolo di foca, cercano di non inquinare-sprecare, facciamo o abbiamo fatto lavori socialmente utili, siamo sempre dalla parte degli umili della Terra… Guardate me: sono (quasi) vegana, ho una bella bicicletta bianca, una Panda di 11 anni, tiro su i randagi (felini e umani) e me li porto a casa, ogni volta che c’è un evento socio-politico militanz mi metto a cucinare per centinaia di punx insorgenti affamati, per un po’ ho avuto un orto e cerco di dichiarare guerra alla grande distribuzione e al capitalismo/consumismo alimentare.
Ti voglio bene più di prima perché così mi fai pensare ai pirati.
E mi stavo giusto recando a far la spesa per una taz dopo lo sgomebero del TeLOS (non ora non qui, ma avrò modo di sputare tutto il mio veleno maledette creature immonde), che ho avuto la malsana idea di andare dal fruttivendolo di paese.
Un sedano rapa, due finocchi, sei peperoni ed una zucca = 22 €
Sono dovuta andare al primo supermercato raggiungibile a piedi (panda fuori uso e bici in riparazione) e cioè il Carrefour, per comprare il resto e mi sono sentita triste molto triste. Molto triste. Ma tanto triste. Perché mi sono ricordata dei bei tempi in cui andavo alla Lidl e ne uscivo con….
IL MINI CALCETTO DA TAVOLO
Cosa: mini-calcetto da tavolo
Dove: Lidl
Costo: 12,90
Giudizio: 4/5
La verità è che non c’è un granché da dire. Davvero. Cosa potrei aggiungere? Ho comprato un mini-calcetto da tavolo alla Lidl da 12,90. Punto. Ecco le foto che documentano il montaggio.
* perché è da mesi che non scrivo recensioni? Perché c’ho il lavoro nuovo, c’ho il gruppo, c’ho la casa nuova, c’ho i gatti nuovi, c’ho tutto nuovo. Ma abbiate fede. Ritornerò.