1. Credo che ormai si possa ritenere convalidato per l’essenziale (non in ogni particolare ovviamente) il sentiero che, secondo questo blog, è stato percorso dalle varie forze sedicenti politiche; e, ancor più, sedicenti di “destra”, semplice berlusconismo, e di “sinistra, mero antiberlusconismo. Nel semplificato gioco interattivo svoltosi tra questi due schieramenti, è stata consentita al berlusconismo qualche autonomia (del tutto controllata, sorvegliata) durante la strategia degli Usa bushiani (in una situazione di sperata tendenza monocentrica), mentre gli Stati Uniti obamiani, abbandonando la suddetta speranza, hanno modificato tale strategia (forse con qualche incertezza che oggi mi sembra in fase di accentuazione) e non hanno più concesso margini di scelta alla “destra”, in definitiva a Berlusconi. Costui è andato così svelando sempre più chiaramente la sua complicità con tutte le operazioni (interne e internazionali) compiute dagli ambienti dominanti statunitensi, e dai loro principali referenti in Italia, dal 2010 in poi. La complicità è stata accompagnata da continui mugugni, da dichiarazioni di non accordo, sempre più deboli fino alla “calma piatta” con questo governo di servitù e logoramento nazionale.
Si tratta adesso di vedere il comportamento (imminente) della Cassazione in merito ad una condanna che dovrebbe comportare difficoltà (non so quanto insormontabili) del cavaliere per restare nell’ambito della politica ufficialmente svolta; e di persona. Tendo a non credere nemmeno in questa occasione a come vengono presentati al popolo, in particolare ai “fessi di sinistra”, i termini del problema. Se interverrà sentenza di fatto assolutoria o simile, si dimostrerà in realtà che la situazione è ancora troppo complicata per rinunciare alla complicità, sempre più aperta e priva di veli, del nanetto d’Arcore. Se invece avremo la condanna, bisognerà seguire meglio gli apparenti sussulti dell’evoluzione futura. Potrebbe essere ritenuta utile una certa tensione dello stesso tipo di quella che ci ha accompagnato da “mani pulite” in poi per ormai vent’anni; oppure assisteremo al progressivo ritiro “dal campo” del nanetto in questione che ha assolto, fra i suoi compiti, anche quello di creare delusione, disincanto, sconcerto, ecc. – seguiti probabilmente da apatia crescente – nel suo elettorato, in modo da fare terreno bruciato in merito alla possibile nascita di nuove forze in grado di raccogliere la rabbia di grosse quote di popolazione al fine di scagliarla contro la “sinistra”, forza principe dell’asservimento italiano.
2. Non ho completa disistima per tutti gli economisti e altri esperti in vari rami delle cosiddette scienze sociali. La mia eventuale stima non si basa però su assai problematiche previsioni effettuate in merito ad eventi futuri nel campo delle specifiche competenze dei suddetti esperti. Su cento “scienziati” che cercano di azzeccare l’evoluzione di questi eventi in un periodo di tempo (futuro) X, ve ne sarà senz’altro qualcuno che riuscirà nell’intento; se gli stessi 100 ripetono “l’esperimento” per il periodo di tempo futuro Y, ancora una volta qualcuno avrà successo, ma difficilmente si tratterà degli stessi di prima. Non sto ovviamente parlando di previsioni formulate all’ingrosso, sulla base di valutazioni effettuate secondo il flessibile metodo indiziario, bensì di quegli eventi che si pretende siano determinati – sia pure con accanto le precise cifre relative alla percentuale del probabile loro verificarsi – in base a dati raccolti e classificati “rigorosamente” e disposti in tabelle, grafici e quant’altro. E non sto parlando di periodi di tempo troppo brevi.
Quando scoppiò la crisi del ’29, nessuno l’aveva in realtà prevista; in effetti, “la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l’analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale. Comincia post festum e quindi parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento” (Marx, paragrafo sul feticismo della merce nel primo capitolo de Il Capitale). Tuttavia, sia chiaro che questi risultati bell’e pronti sono in realtà risultati di una interpretazione del processo di loro svolgimento. E le interpretazioni cambiano spesso nel corso della “storia” della loro formulazione: in base a nuovi “fatti” che si pensa di aver scoperto o perché le previsioni fatte in base a quelle interpretazioni non si verificano o il loro verificarsi, una volta sottoposto ad interpretazioni differenti, appare di volta in volta diverso. O per altri motivi ancora su cui adesso non mi diffondo poiché non farei altro che confusione.
Dopo alcuni anni di crisi, nel ’33 partì il ben noto New Deal, basato sull’intervento dello Stato in economia con l’effettuazione di spesa pubblica in deficit di bilancio, ecc. E’ ovvio che per prendere decisioni simili doveva già essersi formato un certo senso comune nell’interpretazione, sia pure ancora rudimentale, del processo di svolgimento della crisi nei quattro anni precedenti. Quell’interpretazione venne sgrossata e raffinata, ricondotta a “rigorosa” teoria, con un sistema di procedimenti logici svolti anche in forma matematica, ecc. Ciò avvenne nel ’36 con l’opera fondamentale di Keynes. Proprio in quell’anno, o al massimo nel successivo, il complesso delle operazioni di intervento statale compiute durante la presidenza Roosevelt mostrò la corda, e l’economia Usa tornò ad assaggiare i morsi della crisi, da cui uscì definitivamente – come messo in chiaro molte volte e non solo dal sottoscritto – con la seconda guerra mondiale.
Coloro che hanno puntato su tale interpretazione, ne hanno in maggioranza – compresi molti marxisti (o pretesi tali) – fornito una versione in linea con gli assunti keynesiani. La forte spesa statale sostenuta per produrre armi e per la conduzione della guerra avrebbe impresso la spinta all’uscita dalla crisi e ad un nuovo periodo di forte crescita economica. Da questa interpretazione è derivata la convinzione che il sistema capitalistico non può che funzionare in un clima di continua guerra, magari incipiente o svolta in ambiti particolari (ad esempio nel terzo mondo come luogo di scontro armato tra fazioni diverse appoggiate dai due contendenti principali del mondo bipolare). Anche simile versione bellica della teoria keynesiana è in genere stata alla fine resa obsoleta, ha spiegato sempre meno, favorendo poi la resurrezione del neoliberismo, ecc.
Non sono stato il solo, ma credo uno dei pochi, ad aver mutato interpretazione; e ancor prima del verificarsi della crisi del 2008. Ho sostenuto la tesi della sconfitta, nel mondo detto capitalistico, non soltanto di Germania e Giappone, ma sostanzialmente pure di Inghilterra e Francia, che sono state estromesse fra l’altro dalle loro principali colonie (soprattutto in India e Indocina) con lo zampino americano (altro che vittoria della “non violenza” gandhiana). In linea generale, l’interpretazione da me fornita era che il sistema capitalistico funziona abbastanza bene (con crisi minori e non troppo pericolose) in una situazione di regolazione monocentrica; diciamo, grosso modo, dal Congresso di Vienna (1815) alla guerra franco-prussiana (1870-71) con la centralità inglese e, dopo il 1945 e nel “polo capitalistico”, con quella statunitense.
Il crollo del “polo socialistico” (1989-91) ha fatto pensare per circa un decennio o poco più alla formazione di un nuovo monocentrismo, con la sola “imperfezione” della Cina; si è invece messa in moto, in specie dopo il 2003, una nuova tensione al multipolarismo, del tutto imperfetto, ancora largamente dominato dagli Usa, ma comunque non più nel senso della costituzione di un centro relativamente regolatore del sistema complessivo, cui sono invece cominciati a sfuggire molti ambiti territoriali, in definitiva paesi in via di potenziamento. E non semplicemente economico, poiché le tesi del sottoscritto si sono sempre più indirizzate all’ambito della politica nel suo senso di conflitto tra strategie per assumere la supremazia.
Non dico affatto di aver previsto la crisi iniziata nel 2008. Tuttavia, quando è scoppiata e in tempi relativamente brevi (assai meno di un anno), la mia interpretazione si è indirizzata appunto alla s-regolazione politica del sistema e quindi alla previsione – sempre “all’ingrosso”, secondo il metodo indiziario – della progressiva affermazione di una tendenza ad un futuro nuovo autentico policentrismo (di pieno conflitto), instaurando una similitudine tra questa crisi e quella di fine XIX secolo (inizio dell’epoca detta dell’imperialismo, da non confondere come solitamente si è fatto con il colonialismo). Ho quindi escluso sia eventi del tipo delle crisi (iniziate con crolli finanziari maggiori) del tipo 1907-1929, sia la possibilità di nuove impetuose crescite generalizzate. Un prevalente andamento a sinusoide, invece, con trend piatto o quasi piatto per gran parte dei paesi (in particolare per quelli più avanzati capitalisticamente), nel mentre si andranno preparando gli assestamenti maggiori nel campo dei rapporti di forza tra varie potenze: quella ancora in deciso vantaggio e le altre che conosceranno con ogni probabilità notevoli difficoltà nel portarsi alla pari con gli Usa, ma proseguiranno comunque in questo sforzo, magari a fasi alterne.
Mi lasciano del tutto freddo le previsioni di economisti – indiani o non indiani – circa lo scoppio di una crisi (quella appunto iniziata ufficialmente nel 2008) che sarebbe ancora più grave di quella 1873-96. Il giudizio di peggiore o migliore viene sempre dato in base ai dati di statistiche, spesso rivelatesi del tutto inaffidabili e quasi cervellotiche; senza poi considerare che penso sia senza senso alcuno confrontare i metodi di rilevazione statistica di fine ‘800 con quelli odierni. Diciamo semplicemente che la crisi definita economica è invece una crisi della regolazione politica, in cui all’interno di un dato sistema globale viene a mancare la decisiva e sovrastante supremazia di una potenza, considerata per ciò stesso centrale (e il sistema globale appare allora monocentrico).
Con questo ritengo allora di aver pronunciato il verdetto definitivo sui caratteri della presente crisi? Mi attribuisco la qualifica di “guru” che ha finalmente colto la “verità” (e realtà) della crisi? Nemmeno per sogno. Ho formulato, dopo lungo pensamento e inesausto rimuginare, una interpretazione delle crisi che al momento mi sembra avere effetti “espansivi” nell’effettuare valutazioni “all’ingrosso” anche su “fasi storiche” particolari: ad esempio quella esistita in Italia da “mani pulite” in poi e quella che mi appare essersi aperta tramite i mutamenti strategici Usa, soprattutto con la presidenza Obama. E mi servo allora di questa interpretazione, a mio avviso appunto “espansiva”, per cercare di orientarmi su possibili evoluzioni future. Non ho però alcun dubbio che, alla fine, anche questa interpretazione andrà isterilendosi e dovrà essere aggiornata, con mutamenti più o meno radicali, negli anni a venire. Chi crede alla “riproduzione” della realtà così com’essa è realmente, chi crede alle verità (che si affanna a dichiarare, contraddittoriamente, non assolute per non parere forsennato), è per il sottoscritto un semplice “idiota”; forse ad “alto quoziente di intelligenza”, forse nemmeno questo. Non so; tanto non credo ad alcuna ipotesi in grado di avere funzione positiva (solo parzialmente positiva) per periodi di tempo di varia lunghezza, ma comunque di estrema brevità perfino se li si rapporta alla vita media di un individuo umano.
Mi auguro che si voglia prendere sul serio queste poche note; perché solitamente la gente non capisce quasi nulla della funzione preminente delle teorie – in quanto elaborati del nostro pensiero con funzione strumentale – in rapporto all’azione. E sempre afferrando l’idea cardine che anche l’interpretazione è azione; non solo la prassi, quasi sempre cieca e inconsulta, delle “masse”, dirette da chi ha la potenza necessaria per ottenere tale risultato. Io non sono una potenza; mi arrogo solo il diritto di procedere alla “conoscenza” nel suo senso pregnante dell’uso strumentale del pensiero per formulare ipotesi interpretative, dotate in questa fase storica di “aperture di significato” di carattere “espansivo”. Non ho alcuna pretesa di illuminare nessuno sulle “Grandi Verità”: lascio più che volentieri questo compito agli “idioti” di cui sopra.