Miami, Florida, 24 aprile 1946, ore 15:20, Corte Distrettuale: John Huberman, tedesco stabilitosi in America, viene riconosciuto come spia nazista, colpevole di tradimento nei confronti degli Stati Uniti, e condannato a 20 anni di reclusione. La figlia Alicia (Ingrid Bergman, Elena nell’edizione italiana) respinge l’assalto dei giornalisti ed allontana subitamente il malumore conducendo una vita alquanto libertina, dedita ad alcool, spensierate compagnie maschili e liete festicciole. Durante una di queste conosce Devlin (Cary Grant), uomo misterioso e affascinante. L’attrazione, reciproca, s’insinua pian piano fra i due: una bevuta insieme, un adrenalinico giro in auto, fino al dopo sbornia rivelatore, il mattino seguente: Devlin è in realtà un agente del servizio segreto americano di controspionaggio. Rammentandole attraverso alcune registrazioni la sua indole patriottica e la contrarietà manifestata nei confronti delle idee paterne, propone alla donna un incarico. I superiori di Devlin, infatti, vorrebbero affidare ad Alicia una delicata missione, riconoscendole l’abilità nel “sapere come fare amicizia con gli uomini”: avvicinare un amico del padre, il ricco industriale Alex Sebastian (Claude Rains), la cui villa in Brasile nasconde certo qualche attività a capo di un’organizzazione nazista, per scoprirne le mosse; durante il viaggio aereo verso il Sud America, intanto, Alicia apprende che il genitore è morto suicida.
Cary Grant ed Ingrid Bergman
Sebastian è stato in passato un suo spasimante, e, per quanto le avances siano state respinte, il compito non dovrebbe poi rivelarsi tanto difficile da portare a termine. La donna attende invano da Devlin, i due ormai sono amanti, un rifiuto al riguardo, ma questi fatica a dimenticare i trascorsi non propriamente limpidi di Alicia e nasconde il turbamento dietro la maschera del disprezzo, spingendola quindi tra le braccia di Alex, fino ad accettare con disinvoltura e sarcasmo l’idea del prossimo matrimonio tra i due (“Credo sia una cosa utile”). Ecco quindi Alicia divenire novella padrona di casa Sebastian, sotto gli occhi sospettosi della suocera, madame Anna (Leopoldine Konstantin).
Non tarderà molto a comprendere come l’abitazione sia teatro di inviti a cena che vedono protagonisti ambigui personaggi, intenti a mettere in atto qualcosa di losco contro gli Stati Uniti. Alcune bottiglie di vino potrebbero servire da paravento per nascondere qualche segreto: Alicia dovrà fare in modo d’impadronirsi della chiave d’accesso alla cantina che il marito porta sempre con sé e consegnarla a Devlin durante un party.
Il mistero verrà svelato, ma Alex si accorgerà dell’intrusione, intuendo il doppio gioco della moglie, e insieme alla madre ordirà un piano per farla fuori, con discrezione, così da non compromettere la delicata operazione …
Nessuno dei tre protagonisti presenta infatti una personalità propriamente cristallina e moralmente limpida: Alicia, una Bergman forse mai così sensuale, non nasconde i suoi trascorsi “allegri”, ma attende che ad evitare un coinvolgimento “definitivo” nei confronti di Sebastian si pronunci l’uomo che realmente ama, Devlin, ben reso da Grant, qui lontano dal ruolo di fascinoso rubacuori a colpo sicuro, anzi, combattuto fra amore e dovere, lascia che le ragioni di servizio, ma in primo luogo la diffidenza verso un reale cambiamento della donna, prendano il sopravvento.
Leopoldine Konstantin, Bergman e Claude Rains
Il suo è quindi un invito aperto, appena velato da qualche rimorso, affinché Alicia entri nel letto di Alex, interpretato nell’espressione di un’elegante signorilità da Rains, cui modi da perfetto gentiluomo rappresentano comunque idoneo paravento per nascondere sinistre manovre, in particolare quando vedrà tradita la fiducia riposta nella donna che ama.
La circostanza che l’indole dei tre personaggi principali possa quindi dar luogo a diverse interpretazioni, fa sì che il suddetto tema dell’ambiguità si sviluppi su due livelli, quello figurativo delle immagini, tra allusioni ed insinuazioni, e quello più propriamente morale, con una contrapposizione, a tale ultimo riguardo, sentimento- responsabilità che porta i “buoni” ad apparire freddi e distaccati, esprimendo sprezzante sarcasmo, mentre i “cattivi” non solo hanno modi cortesi e raffinati, ma sono capaci di provare emozioni sincere, intense e palpabili, paura compresa. Non mancano forti implicazioni erotiche, per quanto accennate e sottintese, lontane da una certa morbosità propria delle opere successive di Sir Alfred, così come sono presenti tematiche edipiche, sempre intuibili più che manifeste, nel visualizzare il rapporto fra Sebastian e la madre, mente e braccio destro del figlio, la cui gelosia nei confronti di Alicia è estremamente palpabile.
Il primo “gioca” con i primi piani, a catturare ogni espressione, un po’ come fa in tutto il film, i secondi appoggiano la scelta di aggirare la censura con delle brevi interruzioni relative al contatto fisico, alternando dialoghi generici su come trascorrere la serata, con in mezzo una telefonata, e sguardi pregni di passione, oltre che gesti concreti (gli abbracci reciproci, le guance che si toccano, il giocherellare di Alicia con l’orecchio di Devlin). Notorious è un film che non si dimentica, tecnicamente sublime (da menzionare anche la fotografia di Ted Tezlaff e il valido commento sonoro, Roy Webb), idoneo a stagliare in scena con tensione drammatica ed eleganza la forte suggestione, dalla valenza simbolica, del timore proprio dell’essere umano di venire allo scoperto per quel che realmente è, come Devlin e Alicia, sempre sul punto di essere scoperti quali spie ed amanti, fino ad esprimere, poco prima del classico The End, la condizione di semplici persone, al di là di ogni copertura imposta, concedendo limpido sfogo alla libera intensità del proprio desiderio.