Strada con cipresso sotto un cielo stellato
Vincent Van Gogh maggio 1890
Un’altra notte insonne; un’altra notte inquieta. L’ennesima. Eppure questa notte è più calma del solito. L’aria è ferma, rappresa. Sembra colare lungo le pareti; scendere lentamente dal soffitto e immergere ogni cosa. Scivola piano sul pavimento. Anche stanotte uscirò fuori a fumare la mia pipa. Su quella sedia di paglia consumata, su quella sedia dove neanche un gatto s’addormenta. E anche stanotte veglierò la luna e le stelle, e questo cielo terso, immobile; e sentirò di nuovo quest’odore monotono della campagna, il suo silenzio immoto, spento. Ma non ho voglia di alzarmi dal letto; sento la testa pulsare, e un male interiore che dentro mi consuma e mi tormenta; lentamente, inesorabilmente. Vorrei essere quel cipresso là fuori, paziente, calmo; avere la sua saggezza, essere come i suoi rami che fitti si stringono al corpo, che si assottigliano nella crescita; essere flessibile, ma robusto; possederne la forza capace di lottare con il vento; che sa elevarsi verso l’alto, fino a toccare a volte la punta del cielo; avere il suo profilo filiforme, ironico, ma sagace; e non temere la solitudine. Non sentire tutte queste strade che dentro m’abbandonano, che mi conducono verso il nulla o che si perdono nel vuoto. Vorrei sentire il profumo dei colori, essere quel blu cobalto che suggella la mia anima e la finestra di questa stanza, piccola stanza disadorna, quasi senza fiato; senza prospettiva; dagli angoli smussati, tagliati da questa luce oscura. E dipingere questo paesaggio bluastro, violaceo, lunare, con delle tinte cupe, far sentire la sua voce, i suoi peccati, far gridare la sua carne, avvolgerlo in vortici voluminosi, in desideri a spirale, ch’impazzano in ogni direzione, senza fine senza inizio. Senza sosta. Ah, se la mia testa smettesse di pulsare! Potrei persino prendere sonno e addormentarmi in questa notte di cielo stellato, abbandonarmi ai miei incubi, ai miei sogni; non sentire il vuoto di questa vita scendere leggero tra i miei abiti, nei miei scarponi abbandonati sotto il letto, coperti di fango, che hanno vagato anche oggi su questi campi ondeggianti di grano, senza meta, senza direzione, al solo scopo di stancarsi, di non riposarsi, folli nel loro cammino. Eppure, nel cielo c’è sempre quella luce stellare che non mi stanco mai di guardare; è una luce magnetica, elettrica, la stessa che tocco tra quelle spighe di grano. Se domani riuscirò ad addormentarmi forse anch’io potrò raggiungerla e toccarla con mano.